Nessuna illusione dal forum di davos

Come ogni anno si è riunito a Davos il World Economic Forum, il vertice che riunisce una cinquantina di capi di Stato e di Governo. Obiettivo: fare il punto della situazione economica del mondo e tentare (inutilmente) di dare un ordine a un sistema per natura anarchico. Titolo del 2014 “Il rimodellamento del mondo: conseguenze per la società, la politica e l’economia”

A Davos dal 22 al 25 gennaio erano previsti almeno 2500 partecipanti al Forum; banchieri, manager ed economisti chiamati a raccolta per consultare i capi internazionali della politica e dell’economia, e tutti quanti al capezzale del malato grave, il capitalismo mondiale affetto da una crisi acuta dalla quale non accenna a uscire, anzi. Fino ad oggi, piuttosto, ogni cura sembra essere stata più pericolosa della malattia. Della crisi finanziaria, che gli Stati hanno cercato – indebitandosi - di tamponare con un fiume di soldi pubblici, le banche hanno semplicemente approfittato per esigere dagli stessi Stati interessi esosi sul debito. Far fronte al debito dello Stato, il cosiddetto debito sovrano, è diventato il nuovo mantra, ripetuto e affermato con tanta convinzione che nessuno può osare metterlo in discussione. Così, per alimentare il circuito perverso tra debiti sovrani e mercati finanziari, si taglia ovunque la spesa pubblica per i servizi alla popolazione e si comprimono i salari, mentre le popolazioni, che si impoveriscono progressivamente, non riescono più ad alimentare il mercato delle merci, sempre più asfittico. La spirale dei bassi consumi continua ad alimentare la disoccupazione che non fa che generare nuova povertà, consumi sempre più bassi, e nuova disoccupazione.

Dunque, a quanto pare è necessario “rimodellare il mondo”: e come andrebbe rimodellato, secondo le teste pensanti di Davos? E’ una domanda alla quale, anche volendo, tutte queste eminenti personalità hanno qualche difficoltà a rispondere: del resto, un conto è predicare in astratto la necessità di combattere la fame e l’esclusione sociale, un conto sono gli interessi veri e concreti di chi detiene la ricchezza nel mondo, tutta gente che non ha intenzione di rinunciare a un grammo nei confronti di chicchessia. Ma, poiché i portavoce di questa minoranza sono stati in questi ultimi anni gli economisti di scuola ultraliberista, i cui fallimenti sono evidenti, si fanno strada oggi diversi fautori dell’intervento pubblico in economia. Laddove il sistema langue sotto i colpi di un mercato sregolato, si tenta di rianimarlo proponendo regole e reintroducendo il tentativo di governarlo. Sempre ammesso – naturalmente – che accordarsi sulle regole sia possibile e che il meccanismo funzioni. Così i premi Nobel Schiller e Spence hanno proposto di mettere fine alle politiche di austerità, mentre le tre principali relazioni sulle politiche economiche nazionali propongono alternativamente investimenti pubblici in settori produttivi, investimenti privati programmati e controllati però dal Governo centrale, o un mix tra tagli e nuovi investimenti. Un tentativo come un altro di riciclare vecchie ricette, con probabilità di successo prevedibilmente non maggiori di quelle precedenti.

In un articolo per il Forum, il premio Nobel per l’Economia Joseph Stigliz ha constatato di recente che “Per ampie fasce della nostra società il sistema non sta producendo benefici”. Non era necessario ricorrere a un economista per stabilirlo, bastava guardarsi intorno. Sempre per il Forum di Davos, un’associazione di beneficenza britannica, la Oxfam, ha presentato una relazione sull’immenso aumento delle disuguaglianze nel mondo. Secondo questo studio, le 85 persone più ricche della terra, con un patrimonio complessivo di 1,7 trilioni di dollari, possiedono gli stessi soldi della metà più povera, ossia 3 miliardi e mezzo di persone. Le disuguaglianze non sono una cosa nuova nella storia umana, e nemmeno nella storia del sistema capitalistico, ma negli ultimi 20 anni il divario è diventato un abisso, con un’accelerazione senza precedenti. Non c’è crisi per chi continua ad accumulare profitti, con lo sfruttamento e la speculazione.

Non sarà certo il Forum di Davos a fermare questo abisso, né quest’anno né in quelli a venire. Finchè le classi sfruttate sopporteranno senza reagire, dovranno accontentarsi delle buone intenzioni. Se mai le classi dominanti sono state costrette a cedere qualcosa, è stato soltanto quando hanno avuto paura di perdere tutto. Il capitalismo non si può rimodellare, si può soltanto rovesciare; ma comunque, anche solo per rendere la propria condizione meno misera, le classi sfruttate non hanno alternativa alla lotta.