In Piemonte, come nel resto del paese, si continua a morire di lavoro. Si muore cadendo da un ponteggio, come è accaduto l’8 maggio ad un decoratore di 58 anni mentre stava tinteggiando un capannone della CFGM, una ditta di metalli di Val della Torre, in provincia di Torino. Si muore schiacciati tra un muretto ed un tir durante le operazioni di scarico del pesante autoarticolato, come è accaduto il giorno seguente ad un operaio di 55 anni della Mole Logistica, una società consortile che conta 90 dipendenti diretti e 350 delle imprese associate.
I dati riportati dall’Anmil (Associazione invalidi e mutilati del lavoro) registrano, mettendo a confronto il primo trimestre del 2017 con lo stesso periodo dell’anno precedente, un aumento degli infortuni mortali a livello nazionale dell’8% (da 176 a 190) e del 5,9% per quanto riguarda gli altri. In Piemonte, invece, vi è stata un calo dei morti sul lavoro del 42% (da 17 a 12), ma sono aumentati del 7,3% gli infortuni non mortali. Per quanto di meno, sono sempre troppe dodici morti bianche in soli tre mesi (anche una sola è inaccettabile!). Dodici sono quelle dichiarate. Già, perché nelle statistiche non compaiono gli infortuni mortali non denunciati come tali, ma fatti passare come vittime di incidenti stradali o di altre false cause sovente inventate perché in presenza di situazioni di lavoro irregolare o in nero. Le statistiche rilevano una diminuzione delle morti bianche in Piemonte già nel 2016, ma segnalano anche che l’occupazione nell’industria e nelle costruzioni è diminuita in modo significativo con una perdita di circa 10.000 posti di lavoro, settori dove peraltro si continua ad avere il maggior numero di infortuni mortali.
Al di là dei numeri, veri o falsi che siano, ciò che importa davvero è individuare la responsabilità delle morti bianche nelle politiche sul mercato del lavoro attuate negli anni della crisi. Lavoratori sempre più sottoposti al ricatto di perdere il posto, quindi costretti a lavorare sotto organico con ritmi aumentati e con pause ridotte, senza il necessario rispetto delle norme di sicurezza. Lavoratori sempre più precari, assunti spesso in nero (modalità resa legale dall’uso dei voucher) o come false partite Iva, quelle che il Jobs Act, a detta dei suoi fautori, avrebbe dovuto eliminare. Lavoratori sempre più super sfruttati attraverso le molteplici forme di semi schiavitù introdotte dalla legge Biagi, mai cancellata dai governi.
Solo una ritrovata capacità di lotta per migliori condizioni di lavoro potrà porre un argine alle stragi del lavoro.
Corrispondenza da Torino