Mercati, guerra e pace

L'introduzione di un nuovo prodotto nel mercato può avere conseguenze inimmaginabili. Che c'è di più innocuo, familiare, casalingo di una tazza di cacao o di caffè? O di un vestito di cotone? Eppure, la diffusione di tali consumi fu strettamente legata all'economia di piantagione, quindi all'introduzione della schiavitù nelle Americhe e alla tratta dei neri in Africa. Due continenti devastati e saccheggiati.

Il capitalismo si sviluppa attraverso una serie di catastrofi sociali. Lo

sviluppo pacifico, lineare, guidato dalla manina invisibile è una favola

inventata dalla borghesia.

Non è mai esistito e non esiste tuttora un progresso economico senza

violenza. L'introduzione dei telefonini, dei computer, degli smartphone,

ha dilatato enormemente le possibilità di comunicazione. Gli iPad sono

stati accolti con un ondata di entusiasmo giovanile, pur con qualche

aberrazione, come il caso del ragazzo cinese che ha venduto un rene per comprarlo. Eppure tutto ciò si intreccia con la guerra e la sopraffazione.

Tutti questi prodotti necessitano dell'impiego del Coltan (Columbite più

Tantalite), di cui è ricco il Congo, e le multinazionali si sono gettate

come avvoltoi sul povero paese, servendosi di mercenari travestiti da

guerriglieri democratici, e anche di stati mercenari, provocando un numero altissimo di morti e di profughi. Tutte cose che i nostri media ufficiali fingono di ignorare, quando non le relegano in programmi notturni; più importante vedere se toccava a Renzi o a Bersani eseguire il programma già stilato fin nei particolari dal FMI, BM, BCE.

Quanto alle terre rare, la Cina, massima produttrice, è in grado di

scoraggiare ogni azione di pirateria delle multinazionali, ma, se non

guerre, sorgono contese economiche, pressioni, ricatti, manovre

protezionistiche con conseguenti aumenti dei prezzi.

L'industria crea nuovi prodotti, ma anche il loro mercato, i nuovi

consumatori, le condizioni politiche perché lo stato dia il suo appoggio.

Distrugge gli ostacoli che si frappongono alla loro diffusione. Ogni

prodotto ne sostituisce altri, gli oggetti di plastica al posto di quelli

di legno, vetro, ferro, terracotta. Nella retorica ufficiale i nuovi posti

di lavoro dovrebbero colmare i vuoti di quelli vecchi, ma l'incremento

della produttività rende necessario meno personale.

Materie prime, un tempo a buon prezzo e a largo uso popolare, diventano in seguito oggetto d'incetta, come il mais, sottratto al consumo alimentare, e utilizzato per produrre carburanti, tra gli applausi di molti ambientalisti.

In un regime di classe, una parte crescente delle materie prime viene

impiegata a favore della parte solvente dell'umanità, mentre si riduce la parte destinata a proletari, sfruttati, poveri.

Non c'è sviluppo che non comporti violenze e guerre, in paesi coloniali o semicoloniali che pagano le conseguenze del nostro progresso. Anche nella metropoli, ogni giorno c'è chi perde il lavoro, perché ciò che produce è stato sostituito, magari con un surrogato che si stenterà a fare accettare, ma che ha il vantaggio del basso costo. La cattiva moneta caccia la buona, lo sapevano già i nostri bisnonni.

Questa dannazione non è superabile all'interno dei regimi di classe, come hanno dimostrato i fallimenti delle ideologie come l'equa distribuzione dei redditi, il cristiano appello al superamento degli egoismi di classe, la teoria dello sviluppo equilibrato, ecc. L'immensa violenza contenuta nei rapporti capitalistici può essere domata solo dalla violenza rivoluzionaria.

Il discorso sulla rivoluzione ha quasi sempre suscitato e ancora suscita

ironie. Secondo un antico testo cinese, alla rivoluzione nessuno crede

prima che scoppi. La disoccupazione di massa, il livello di corruzione

degno di Caligola e Nerone, la difficoltà di sopravvivenza, la

burocrazia, pubblica e privata (avete mai inviato un curriculum a una

impresa privata?) più pesante di quella zarista, le difficoltà di

sopravvivenza, che dalla periferia del sistema si sono avvicinate al suo

cuore, sono state ben interpretati dagli stati, che a parole continuano a

respingere la rivoluzione come utopia, nella realtà si blindano per

reprimere ogni minima protesta pacifica, come hanno ben visto quei

lavoratori che si sono avvicinati ai templi delle promesse vane,

Montecitorio e Palazzo Madama.

Lì continuano ad officiare le liturgie democratiche, mentre la società non da oggi è dominata da un'oligarchia ristretta, servita da un esercito di lacchè, eletti o nominati dal presidente della repubblica, poco importa, che fanno a gara in servilismo.

Eppure dei poveretti pensano che Bersani o Renzi combatteranno realmente la corruzione, sconfiggeranno il potere della mafia e degli speculatori, ridurranno le sperequazioni sociali.

Ci vuol altro, ci vuole l'azione di milioni di persone infuriate. Non è bastato il governo maledetto - la definizione è di Monti – a determinare la rottura, ma a furia di insistere con le vessazioni, riusciranno a fare esplodere su vasta scala la protesta sociale.

Michele Basso