Meno di 1,25 dollari al giorno

La Banca Mondiale ha fissato il reddito di povertà estrema in un dollaro e venticinque centesimi al giorno. Oggi anche questa cifra insignificante non è più alla portata di 90 milioni di nuovi poveri. La fame era già una piaga inguaribile del cosiddetto Terzo Mondo anche prima della crisi incombente. Per una gran parte del pianeta la crisi ha un peso esponenziale, e non lascia neanche l’illusione di un rallentamento

Il Presidente del Consiglio italiano, in gita a Mosca, ha parlato con Putin di “diluvio terminato” e di crisi finita, mentre tutto tornerà come prima, meglio di prima. A tutt’oggi, nessuna delle previsioni azzardate da politici o economisti ha trovato conferma nei fatti. Anzi, il procedere della crisi, dall’ormai arcinota crisi di insolvenza dei mutui immobiliari in poi, ha generalmente spiazzato, allargando il suo raggio d’azione, chi aveva pensato di gestirla.

Non sarà l’euforia di Berlusconi a decidere quando e come la crisi potrà finire, e soprattutto che conseguenza avrà avuto sulla popolazione, in particolare sulla classe lavoratrice e sui ceti popolari. Al momento nel mondo occidentale sono allarmanti le ipotesi di previsione sulla perdita di posti di lavoro; anche in Italia, secondo i dati pubblicati il 4 maggio scorso dall’Unione Europea, si parla di caduta dell’occupazione del 3,3% quest’anno, e dello 0,6% nel 2010. Il tasso di disoccupazione salirebbe dal 7% circa attuale all’8,8% a fine anno, per raggiungere il 9,4% nel 2010.

Naturalmente sono tutti dati da prendere con le molle, ma che indicano almeno una tendenza. E se questa tendenza significa per la classe operaia occidentale una caduta verticale del tenore di vita, per altre parti del pianeta la Banca Mondiale parla di “catastrofe umana”. Il numero di esseri umani che non dispongono nemmeno dei mezzi essenziali per la sopravvivenza potrebbe salire a oltre un miliardo entro la fine del 2009. Il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha parlato recentemente di come la crisi si stia velocemente allargando anche alle “economie in via di sviluppo e in transizione”, e stia producendo un impatto definito “grave” al termine di una settimana di incontri tra G7, G20, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale. Non ci vuole molto a capire che si tratta di una situazione drammatica, se esseri umani che fino ad oggi riuscivano a sopravvivere con un dollaro e venticinque centesimi al giorno, non avranno a disposizione nemmeno questa miseria. Il crollo del castello di carte della bolla finanziaria mondiale ha avuto effetti devastanti su Paesi che già prima della crisi si reggevano su economie di sopravvivenza, e che hanno visto interrompersi i già scarsi flussi di capitali, crollare le loro esportazioni, prosciugarsi anche i canali delle rimesse degli emigranti. Di sicuro i tentativi di ottimismo esibiti in questi giorni dai capi di Stato suonano beffardi in questa parte della Terra.

Di fronte a questo disastro, i Governi dei Paesi occidentali non vedono altra soluzione che tentare di chiudere le frontiere alle decine di migliaia di disperati che non hanno a disposizione nient’altro che le loro braccia, e che tentano di sfuggire alla miseria; gli organismi finanziari a loro volta tentano di mettere una pezza sulla tragedia, utilizzando i fondi previsti per gli aiuti al Terzo Mondo, o inventandosi nuove trovate, come i bond per ricevere finanziamenti dai grandi Paesi emergenti, da dirottare verso i Paesi più poveri. L’aspetto più crudele di questi cosiddetti “aiuti” è che per la maggior parte non servono a diminuire l’impatto della miseria sulla popolazione, ma ottengono risultati di tutt’altro genere.

L’economista africana Dambisa Moyo ha descritto in un libro edito da poco gli effetti perversi degli aiuti occidentali alle economie africane, sostenendo che di fatto gli aiuti servono più a sostenere i dittatori che a modificare la condizione degli africani. Pur considerando l’intera questione dal punto di vista di come favorire lo sviluppo capitalistico dell’Africa, l’economista offre una prospettiva diversa e disincantata del problema. Molto distante dalla retorica dei “Live Aids”, proposti come la chiave della soluzione da celebrità canore e non, la Moyo si sofferma sugli oltre mille miliardi di dollari erogati ai Governi africani, senza migliorare le condizione della popolazione, anzi peggiorandola oltre ogni limite, se la percentuale di africani che vive con meno di un dollaro al giorno è doppia rispetto a vent’anni fa, e raggiunge oggi il 50%. L’attività principale dei Governi africani consiste infatti nella rapina degli aiuti in arrivo: il solo Mobutu, presidente dello Zaire dal 1965 al 1997, ha rubato almeno5 miliardi di dollari al suo Paese, e non è il solo. Tutti i Governi africani mantengono eserciti efficientissimi e strutture burocratiche che hanno il solo compito di mantenersi in vita, conservando le condizioni di sottosviluppo allo scopo di attirare ulteriori aiuti. Perfino gli aiuti agroalimentari raggiungono di più lo scopo di foraggiare le multinazionali, che non quello di sfamare gli africani, e anche i fondi stanziati dalle Organizzazioni non Governative raggiungono le popolazioni africane solamente per il 20%.

Nell’era del capitalismo, anche la fame è un gigantesco affare.