Marlane, omicidi autorizzati

Dopo la sentenza Eternit, un altro processo che si conclude con l’assoluzione di 11 tra ex responsabili e dirigenti dello stabilimento tessile di Praia a Mare, in Calabria. Il Tribunale di Paola ha mandato assolto anche Pietro Marzotto, ex presidente del gruppo, per la morte di 107 operai, avvelenati dall’aver respirato i vapori nella lavorazione dei tessuti, e per aver distrutto e inquinato il territorio e il mare con sversamenti di rifiuti tossici. Le motivazioni della sentenza non sono ancora note, ma a quanto pare secondo i giudici è un caso che siano morti, nonostante abbiano lavorato a contatto di sostanze tossiche per anni senza nessuna protezione. E soprattutto, nonostante le famiglie abbiano accettato anticipatamente un indennizzo perché non si costituissero parte civile. L’avvocato Rodolfo D’Ambrosio, legale rappresentante di Legambiente che invece si è costituita parte civile per danni ambientali, si interroga sulla stranezza dell’esito, dato che le vittime sono state anticipatamente risarcite: “Come si fa a pagare un indennizzo e poi assolvere qualcuno che è causa di quel risarcimento danni? Certamente non mi aspettavo un’assoluzione, mi sembrava abbastanza palese che le responsabilità ci fossero tutte e fossero chiare”. (La Stampa, 19.12.14).

Le denunce e le responsabilità, certo che ci sono. Ci sono anche i miliardi di lire – 6 miliardi dell’allora cassa per il Mezzogiorno quando un operaio guadagnava 38.000 lire al mese - che il conte Rivetti si prese negli anni 50 per impiantare questa piccola fabbrica, che servì come tante altre solo per riempire le tasche di imprenditori senza scrupoli. In questo caso, non solo dopo aver intascato la grana e nonostante la fabbrica funzionasse a pieno ritmo, il conte Rivetti la portò al dissesto, ma alla fine nel ‘70 riuscì a cederla all’ENI (società pubblica), insieme a tutti debiti. Una storia molto comune di profitti privati e perdite pubbliche. Intanto, nonostante arrivino i primi morti, nelle lavorazioni non cambia niente. Polveri di tintura ovunque, vapori soffocanti, niente controlli sanitari sugli operai, nessun controllo sugli impianti. Negli anni 80 si privatizza svendendo a Marzotto. Negli anni 90 i primi operai che denunciano, le prime notizie che filtrano. Poi, nel 2004 Marzotto chiude la fabbrica per mancanza di redditività, e delocalizza all’est.

Ci sono voluti quasi dieci anni per ottenere un processo, e oggi abbiamo la risposta. Una storia esemplare di finanziamenti e di spesa pubblica in favore delle imprese e dei profitti, di disprezzo totale per la vita dei lavoratori, delle loro famiglie, dell’ambiente, di impunità assicurata per chi realizza profitti. E infine, imprese libere di abbandonare il campo impunite per depredare altrove, una volta saccheggiati lavoratori e territorio, lasciando inquinamento, malattie e disoccupazione.

Aemme