2900 lavoratori – 2200 solo a Piombino, intravedono un futuro nella vicenda della Lucchini-Severstal: approvato il piano di ristrutturazione del debito.
Nella storia degli ultimi anni della Lucchini-Severstal, hanno contato sicuramente di più gli avvenimenti legati a banche e Tribunali, che non quelli legati alla fabbrica e alla produzione. Nella lunga e complessa vicenda di debiti e di successioni di proprietà, si è trascinata l’ansia continua dei lavoratori, sospesa tra una decisione e l’altra delle banche nel concedere i crediti, o dei tribunali sulla necessità del commissariamento della società.
Ora il Tribunale fallimentare di Milano si è finalmente deciso a omologare il piano di ristrutturazione del debito Lucchini, una decisione attesa a lungo e che evita un aggravarsi della situazione debitoria dell’azienda, tuttora controllata dal magnate russo Alexei Mordashov. Il debito ammonta a circa 730 milioni di euro, e la sentenza consentirà di diluirlo in sei anni, con un piano di rientro che comincerà nel giugno 2015. Inoltre, oltre ad allungare la scadenza del debito e a congelare gli interessi, sarà possibile utilizzare i 325 milioni incassi con la vendita, nell’estate scorsa, della filiale francese Ascometal.
Naturalmente una buona parte di questa somma (pare un centinaio di milioni) andrà alle banche, mentre almeno 70 milioni saranno utilizzati per pagare i debiti più vecchi di Lucchini verso i fornitori e le ditte dell’indotto, da tempo in sofferenza. Alcune ditte non erano pagate da mesi, e i lavoratori avevano avuto problemi nel riscuotere i salari e le tredicesime. Il gruppo Lucchini perdeva, nell’incertezza della situazione, 15 milioni al mese, e poteva produrre solo al 60% delle sue capacità; aveva un’autonomia di cassa solo per pochi altri mesi, e difficoltà a partecipare alle gare internazionali, perché in mancanza di lettere di credito giudicato inaffidabile.
Oggi i problemi non sono risolti: il debito rimane, anche se con maggior respiro; il Tribunale stesso giudica questa una soluzione provvisoria, in attesa di un nuovo acquirente per il gruppo entro il 2014. Non sono spariti i problemi relativi agli impianti: l’altoforno è arrivato a fine corsa, e questo alla fine è il vero problema. Un nuovo socio forse sarà disponibile se giudicherà lo stabilimento appetibile per realizzare dei profitti, difficilmente se dovrà caricarsi di enormi spese d’investimento. Ci fosse ancora un venditore pubblico, disposto a svendere per poco una fabbrica sana e senza la necessità di nuovi investimenti, come ai tempi della cessione a Lucchini, consentendo in più il taglio di centinaia di posti di lavoro, magari utilizzando qualche prepensionamento, compratori è probabile che se ne troverebbero. Ma il rischio alla fine è che – senza una proprietà disposta a puntare sui nuovi impianti – lo stabilimento venga ridimensionato, perdendo tutta l’area a caldo e conservando solo l’acciaieria. Le conseguenze per l’occupazione sarebbero devastanti.
Corrispondenza Piombino