Da quando a metà gennaio è stato reso noto il progetto per l’acquisto del sito industriale di un gruppo giordano-tunisino, la Smc (Strutture metalliche combinate), l’atteggiamento della stampa e dei Sindacati, e tutto sommato anche delle istituzioni, si è rivolto al nuovo magnate come a chi può risolvere una volta per tutte i problemi delle acciaierie.
In realtà quella di Smc non è l’unica offerta sul tavolo del commissario straordinario Piero Nardi. Entro i termini, prorogati più volte, sono state presentate offerte per l’acquisizione da parte del fondo svizzero Klesch e di una cordata italiana tra Duferco, Feralpi e Acciaierie venete; infine si era parlato in extremis anche di un gruppo indiano. Ma né Klesch né Duferco hanno manifestato interesse per il mantenimento in vita dell’altoforno, anzi il fondo Klesch sarebbe interessato solo ad alcuni pezzi dello stabilimento, mentre la cordata italiana solo ai treni di laminazione e alla realizzazione di un forno elettrico. Il magnate arabo invece offrirebbe qualche speranza in più: il progetto prevedrebbe un investimento consistente da un miliardo e 500 milioni di euro per la costruzione di due forni elettrici, un impianto Corex per la produzione di ghisa, la ristrutturazione degli impianti con spostamento delle colate continue e del treno rotaie, il mantenimento dell’altoforno almeno fino al completamento dei nuovi impianti, la sistemazione dell’area a caldo in una zona distante dalla città, e per finire l’utilizzo per la produzione siderurgica dei rottami provenienti dalle navi in smantellamento – qualora fosse realizzata la ristrutturazione del porto per accogliere la carcassa della Concordia.
Almeno nelle promesse, questo progetto potrebbe essere l’unico a garantire i livelli di occupazione attuali; le intenzioni non sono garanzie, e non c’è nessuna certezza sulle ristrutturazioni future, ma di fronte a una possibile speranza c’è un consenso unanime.
Mantenere in vita l’altoforno è diventato perciò un obiettivo vitale, perché tutto il progetto prevede un’area a caldo funzionante quando e se gli impianti dovessero essere rilevati dal gruppo arabo. Il funzionamento dell’altoforno implica l’acquisto del minerale necessario, e questo ha significato da gennaio la preoccupazione continua per il finanziamento dell’acquisto, lasciato in sospeso ogni volta fino all’ultimo momento dalla dirigenza della Lucchini. Per questo ci sono state minacce di sciopero, poi revocato, e l’occupazione degli uffici della direzione per un’intera giornata.
La condizione d’incertezza sembra far parte ormai da mesi, se non da anni, della situazione alla Lucchini. Sempre con la continua minaccia del tracollo finale, si va avanti di mese in mese, con lo spostamento continuo del traguardo sempre un po’ più in là. E’ una condizione precaria diventata talmente usuale che per i lavoratori è quasi scontata. Questo non significa che siano mancati scioperi e manifestazioni anche molto partecipate, ma una situazione simile, di continua attesa, porta più facilmente al logoramento di quanto farebbe la realizzazione di una minaccia concreta. Comunque si concluda la vicenda dell’acquisizione, per difendersi saranno necessarie ancora molte energie.