Lucchini di Piombino - Cassa integrazione per quasi 3000 operai

15 novembre, sciopero della siderurgia a Piombino. Adesione alta e un corteo partecipato come non si vedeva da tempo, con gli operai delle fabbriche e dell’indotto, e tanti studenti. Ma niente sciopero generale di tutte le categorie. E dopo neanche una settimana, l’annuncio della fermata di Lucchini e Arcelor Magona.

Il 15 novembre scorso i lavoratori della siderurgia hanno sfilato in corteo per le vie di Piombino, in una manifestazione nella quale era tangibile il senso di insicurezza e la preoccupazione, se possibile perfino maggiori di quelle presenti nel corteo del luglio scorso. I motivi di certo non mancano, tanto è vero che, nel giro di pochi giorni, il rischio di un’evoluzione drammatica è obiettivamente aumentato. Gli stabilimenti piombinesi si fermeranno, per ora a tempo limitato: dalla metà alla fine di dicembre la Arcelor Magona, dal 24 dicembre al 18 gennaio la Lucchini, altoforno compreso. Ma il dato peggiore è che non si riesce a vedere oltre. Mentre quasi 3000 lavoratori si ritrovano in cassa integrazione, per 170 tempi determinati della Lucchini il rinnovo del contratto diventa un’utopia.

Mancano gli ordini: questo in estrema sintesi è quanto ha dichiarato la Lucchini prima di comunicare l’intenzione di restringere le tubiere, in previsione di una diminuzione della produzione di ghisa. A fine ottobre era già partita la cassa integrazione in alcuni reparti, limitata a 160 operai e fino alla metà del mese, ma soltanto venti giorni dopo era diventata una misura insufficiente. Nemmeno la direzione sembra avere un’idea chiara della situazione, e men che meno di come gestirla. Nel corso di una stessa giornata, le notizie sui tempi della cassa integrazione si sono accavallate senza niente di certo. Alla fine – salvo cambiamenti dell’ultimo minuto – la cassa integrazione sembra sicura, per lo meno dalla vigilia di Natale al 18 gennaio.

Per i lavoratori delle ditte di appalto la situazione è seria, dato che stanno ricevendo solo acconti sugli stipendi, e rischiano di non riscuotere la tredicesima; per i 170 lavoratori con il contratto a termine invece un futuro da disoccupati sembra più che probabile, visto che l’azienda non intenderebbe rinnovare i contratti.

Fermare l’altoforno non è uno scherzo, perché il raffreddamento potrebbe danneggiare gli impianti, e il rischio di non riuscire a farli ripartire è ben fondato e concreto. Perfino la diminuzione della produzione è un problema, e qualcuno aveva già messo in relazione il guasto, che ai primi di novembre ha bloccato l’altoforno per 14 ore, con la fermata effettuata per la riduzione delle tubiere. Anche gli impianti marittimi sono praticamente bloccati; nelle ultime settimane le navi con le materie prime sono state fatte tornare indietro senza scaricare, e non sono previsti altri arrivi fino alla fine dell’anno.

La situazione finanziaria della proprietà è tuttora incerta. La vendita definitiva da parte della Lucchini del 100% di capitale di Ascometal, che dovrebbe servire a ridurre l’indebitamento del gruppo, per ora non ha fatto realizzare incassi, perché il piano finanziario non è stato ancora perfezionato. Secondo una stima di Confartigianato, le ditte dell’indotto vantano crediti per 120 milioni, alcune devono riscuotere fatture emesse nel novembre di un anno fa (Il Tirreno, 20 novembre). Diversa la situazione di Arcelor Magona, che non ha problemi finanziari, ma lamenta scarsi profitti. Tutto il sistema produttivo nell’insieme è in crisi, tanto che – dopo anni che non avveniva – perfino molti negozi hanno abbassato le saracinesche durante la manifestazione.

Ma evidentemente ancora non basta per estendere lo sciopero, se non al di fuori del comprensorio, almeno a tutte le categorie di lavoratori del comprensorio. Non farlo significa rinunciare a un’opportunità fondamentale. Sarebbe essenziale provare a coinvolgere tutti i lavoratori, a renderli protagonisti di una lotta comune. Dovrebbe trattarsi semplicemente di un riflesso elementare, ed è stato senz’altro così fino a non molti anni fa, quando lo sciopero generale di tutto il comprensorio era una prassi molto comune. A maggior ragione sarebbe importante oggi, in presenza di una crisi che non risparmierà nessuno, soprattutto chi non si difenderà abbastanza. Se esiste una possibilità di futuro, è solo nella capacità di mobilitarsi e imporre prima di tutto i bisogni degli operai e delle loro famiglie. Ai lavoratori, e prima degli altri ai lavoratori più coscienti, serve riflettere con urgenza sul perché una crisi come questa non meriti risposte più efficaci.