Lotte operaie nella Grecia della crisi

Negli ultimi mesi l’attenzione è caduta sulla Grecia, sulla vittoria elettorale del SYRIZA e sulla trattativa economica del nuovo governo greco con l’Europa. Tutti temi, questi, che riguardano istituzioni, banche e finanza; sui giornali non c’è nessun accenno alle lotte operaie e sociali che pur ci sono nel paese da molto tempo. Per i riformisti aver raggiunto la guida del governo è aver raggiunto l’obbiettivo. Non rimane che il varo di “leggi giuste” per salvare la popolazione dai disastri provocati dalla crisi. Sappiamo invece che non è così: ogni cosa che i lavoratori potranno difendere o conquistare la potranno difendere e conquistare solo sul campo della lotta di classe.

In Grecia il capitalismo si è sviluppato più recentemente che in altri paesi europei, la sua concentrazione è stata più lenta, un mercato interno più ristretto non ha dato la possibilità di nascere e di crescere a molte importanti branche della produzione. Questa storia ha fatto si che gran parte dei lavoratori sono occupati in piccole o piccolissime aziende commerciali e produttive. Inoltre esiste una strato di piccola e piccolissima borghesia molto amplia, seppur falcidiata dalla crisi, legata ad attività turistiche, commerciali e anche artigianali, che oggettivamente fa da freno alla lotta di classe.

Questa frantumazione della classe operaia ha fortemente influito sulla natura del sindacato, che è diviso fra l’altro in tre tronconi: la confederazione generale la GSEE, il sindacato del pubblico impiego la ADEDY, il PAME un sindacato emanazione del partito comunista. Abbiamo quindi un sindacato debole con le sue punte organizzative fra i lavoratori del pubblico impiego e dei trasporti pubblici. La preponderanza di questi lavoratori fra gli iscritti al sindacato accentua quindi il doppio filo che lega le direzioni sindacali, sempre in cerca di qualche concessione da parte dei ministeri e del governo, con il sistema parlamentare.

Dall’inizio della crisi alla fine del 2014 ci sono stati in Grecia oltre venti giornate di sciopero generale. Quando il governo si apprestava a varare misure di austerità i giorni di sciopero sono stati anche due di seguito, come è successo nel giugno 2011, nel febbraio e nell’ottobre 2012. La politica delle direzioni sindacali era incentrata nel tentativo di condizionare le scelte governative, fra l’altro concordate con i centri della finanza europea e con il FMI, e di cercare di “alleggerire” le misure prese dal governo. Per i lavoratori lo sciopero era un’occasione di lotta. Una lotta che però il sindacato deviava su di un binario morto, trasformandola in uno sfogo, e guardandosi bene nel farla diventare un episodio di una più amplia strategia di una battaglia di classe contro le conseguenze della crisi. Le manifestazioni, sicuramente ad Atene, sono state partecipate e combattive. Con partenza dalla sede centrale della GSEE e fine sotto le finestre del parlamento. Anche il PAME solitamente proclama i suoi scioperi generali in sincronia con gli altri due sindacati, ma non ha mai scelto di partecipare a manifestazioni unitarie, vive in una specie di mondo parallelo. Durante gli scioperi generali i trasporti si fermano così le scuole e gli altri uffici pubblici e molte sedi bancarie. In piazza troviamo questi lavoratori insieme a lavoratori di altre aziende come le società telefoniche, i portuali e anche molti giovani. Ma gran parte degli altri lavoratori hanno difficoltà a partecipare, non è facile scendere in sciopero in azienda di quindici, cinque o tre dipendenti, specialmente se non c’è l’aiuto concreto dei lavoratori di aziende più grandi e più sindacalizzate, tentativo mai stato sollecitato dalle direzioni sindacali. Non è facile scioperare in un paese in cui più di un quarto della forza lavoro è disoccupata.

Solo in qualche caso si sono visti in piazza numerosi lavoratori delle categorie più deboli, e quando è successo la cosa ha entusiasmato gli altri manifestanti, come quando in uno sciopero generale ha sfilato una folta delegazione di camerieri.

A questi scioperi generali si sono affiancati scioperi e lotte di categoria, di settore, di azienda. Tutte azioni che hanno alimentato nel paese una microconflittualità permanente con decine e decine di scioperi ogni mese. Solo i più conosciuti di questi scioperi hanno avuto l’onore delle cronache. Come la lotta di nove mesi dei 380 lavoratori della Chalyvurghìas Ellàdos che hanno occupato la fabbrica contro i licenziamenti e la ristrutturazione; la lotta delle addette (tutte donne) alle pulizie del ministero dell’economia, licenziate in tronco all’inizio del 2014; la lotta dei portuali del Pireo contro la privatizzazione del terminal; le lotte degli insegnanti del combattivo sindacato di settore OLME; la lotta dei lavoratori dell’ERT, la televisione pubblica, chiusa dal governo per decreto nel giro di poche ore nel giugno 2013.

Lotte grandi e piccole che dovrebbero essere unificate per aver un respiro più ampio, per non finire nell’isolamento, nel dimenticatoio, nelle sconfitta. Azione che il sindacato non fa, anzi dall’inizio dell’anno, con la vittoria del SYRIZA alle elezioni, l’azione del sindacato è stato di contenere e scoraggiare eventuali lotte sperando che il nuovo governo di “sinistra” arrivi dove il sindacato non è mai riuscito. Una pericolosa illusione che è anche nella testa di milioni di lavoratori. Un’illusione che va combattuta senza tregua. Solo dai lavoratori, dalla loro organizzazione, dalla loro capacità di coordinarsi e unirsi con gli altri lavoratori europei, potrà nascere una speranza e una possibilità, non certo dall’elemosinare qualche concessione nei templi della finanza europea e internazionale.

Corrispondenza da Atene