Il mondo del gran capitale è tutto con Renzi. Solo qualcuno che venisse da un altro pianeta potrebbe non accorgersene. Il Jobs Act è stato commentato con accenti entusiastici dalla Confindustria, dai banchieri più in vista, dalle grandi firme del giornalismo politico.
La crisi del PD, con la formazione di una litigiosa e impacciata “sinistra interna” è da addebitarsi in parte a questa completa subordinazione di Renzi e della sua squadra agli orientamenti della grande borghesia. Una subordinazione che toglie spazio di manovra a quei gruppi dirigenti che concepiscono l'azione politica del PD come un servizio che si rende, in ultima analisi, comunque, al capitalismo italiano, ma cercando di ottenere o conservare un qualche straccio di garanzia sociale da agitare come riprova del proprio essere una forza di sinistra, o almeno di centro-sinistra. In questa funzione di “moderatore” delle spinte capitalistiche pure e semplici, il riformismo classico ha sempre trovato la giustificazione della propria esistenza. Renzi e i suoi hanno tolto ossigeno a questo riformismo da tempi di vacche grasse e hanno messo il PD alle dirette dipendenze del gran capitale.
Il quotidiano della Confindustria, Sole 24 Ore, ha pubblicato un piccolo opuscolo nel quale spiega tutti i vantaggi (per i padroni) del Jobs Act. Leggerlo è interessante perché si tratta di un vademecum indirizzato agli imprenditori da parte della loro associazione più rappresentativa. In particolare risulta chiaro che le fanfaronate di Renzi sulle “tutele crescenti” sono aria fritta e che è ben chiaro l'arretramento sul piano dei diritti dei lavoratori. In particolare, nel capitolo dedicato alle relazioni sindacali, si ipotizzano accordi aziendali o territoriali (contrattazione di prossimità) dove “i datori di lavoro potrebbero essere favorevolmente indotti, ad esempio, ad accordare condizioni più tutelanti rispetto a quelle oggi previste dal decreto sul contratto di lavoro a tutele crescenti, a fronte di una maggiore flessibilità nell'organizzazione del lavoro, in termini di orario, turnazione, mansioni, tramite la pattuizione di specifiche deroghe alla contrattazione nazionale di categoria e alle disposizioni di legge”. Ecco che la Confindustria apre ai singoli imprenditori la possibilità di giocarsi la “restituzione” dell'articolo 18 ai nuovi assunti in cambio di un peggioramento generalizzato degli orari di lavoro, di un aggravio dei carichi di lavoro, ecc. Non ci sono limiti alla perfidia padronale!
Si può scommettere fin da ora che sentiremo di nuovo questa musica.
È normale, con queste premesse, che i lavoratori che hanno conservato una sensibilità politica e un senso di identità di classe, cerchino fuori dal PD e, in genere, dalle forze residue della sinistra parlamentare i propri punti di riferimento. Così oggi molte speranze e molte aspettative sono indirizzate verso la Cgil e verso la Fiom di Landini in particolare.
Ma di fronte a una “riforma del lavoro” come quella rappresentata dal Jobs Act, con le sue implicazioni sociali devastanti, occorrerebbe una mobilitazione di forze ampia e prolungata nel tempo. Occorrerebbe dire chiaro e forte che ci si batte per il ripristino dell'articolo 18 e per l'abrogazione del Jobs Act e della riforma Fornero.
I ritardi, i tentennamenti, le incertezze dei vertici sindacali, rafforzano ancora di più le posizioni padronali. Lo scoraggiamento e la demoralizzazione della classe operaia, anche di quella più politicamente cosciente, sono dietro l'angolo. Senza una ripresa delle lotte operaie, i guasti sociali conseguenti alla crisi apriranno ancora di più le porte alle correnti più reazionarie. L'ascesa di Salvini nei sondaggi è un campanello d'allarme che non lascia dubbi.
Anche per questo, ogni sciopero, ogni manifestazione, ogni presidio operaio, sono importanti e possono avere un grande significato politico. Il movimento operaio si basa sul primato della solidarietà e della lotta collettiva. Quando il movimento operaio è forte, tutta la società ne guadagna in termini di civiltà. Lottando contro il Jobs Act, riaffermiamo il nostro diritto all'esistenza come classe lavoratrice e ci opponiamo alla trasformazione dei nostri luoghi di lavoro e delle nostre città in campi di battaglia in cui la rabbia di una parte dei poveri viene indirizzata contro altri poveri.