A partire dalla primavera è stato un diluvio di lamentele. Tutto il mondo del turismo e del commercio – a partire dalle regioni del litorale, le più coinvolte nel turismo di massa - in subbuglio per la mancanza di personale. Prima dell'abolizione del reddito di cittadinanza, non c'era chi non si scagliasse sui giovani, colpevoli di preferire il divano allo sfruttamento. Ma oggi, che non hanno più nemmeno quel paracadute?
Confcommercio in allarme già a febbraio scorso. Risultava che quasi 260.000 lavoratori stagionali mancassero all'appello per coprire le necessità di alberghi, negozi, bar, ristoranti delle località di villeggiatura. A quanto pare, imprese grandi e piccole risultavano preoccupate per i loro affari, ma spingevano le loro ansie anche all'intero sistema economico, paventando il rischio di “frenare la crescita economica dei settori” e perfino – non sia mai – di “rallentare la crescita del prodotto interno lordo”.
Ma di quali figure professionali tanto ambite e tanto introvabili si sta parlando? Tutte, praticamente tutte quelle collegate al sistema turismo. A partire dal personale che si occupa delle pulizie e del riordino delle camere d'albergo, passando per commessi/commesse nel settore moda-abbigliamento, e in quello alimentare (pescivendoli, macellai, salumieri, pasticceri, gelatai, etc.) per finire con le figure specializzate nella ristorazione (camerieri, cuochi, pizzaioli, etc.). Per non parlare di bagnini e addetti alle strutture della spiaggia. Quest'anno particolarmente alla ribalta, dato che i titolari di stabilimenti balneari molto si sono lamentati degli affari in crisi e delle sdraio vuote.
A suo tempo è stato molto in voga accusare i giovani di fancazzismo, approfittando del pretesto fornito dal reddito di cittadinanza. Pareva all'epoca che tutti i mali nascessero dall'alternativa posta dalla modesta entrata mensile, con l'aggiunta magari di qualche lavoretto al nero, al lavoro stagionale da giugno a settembre in qualche struttura turistica. Eliminato questo pretesto, le organizzazioni professionali del settore vanno a cercare le cause nel calo demografico che interessa le fasce più giovani della popolazione (-4,8 milioni tra il 1982 e il 2024 nella fascia di età 15-39 anni), nel fatto che i giovani stessi non vogliono spostarsi, se non per andare in vacanza magari, o nel loro disdegno per le attività manuali. Hanno anche dato un nome a questo fenomeno- - inglese, naturalmente - “mismatch” o disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, peggiorato rispetto allo scorso anno, in quanto sembrerebbe in aumento del 4%. Diciamo che in parte le imprese del settore hanno rimediato, ricorrendo alla tanto vituperata manodopera immigrata. Probabilmente gli stessi che lamentano l'invasione degli extracomunitari sono gli stessi che poi sono ben lieti di assumerli con quattro soldi e parecchie ore di lavoro. Ma, archiviato il il reddito di cittadinanza, e accertato quindi che non aveva niente a che fare con queste problematiche, alla fine è abbastanza semplice dare una risposta alle preoccupazioni di Confcommercio e compagnia bella. Così si esprime sul Manifesto del 10.8.25 Fabrizio Russo, segretario generale della Filcams Cgil: “Sebbene le attività terziarie siano ormai la spina dorsale dell’economia italiana, in cui diverse aziende registrano fatturati da record, i dipendenti continuano a essere oppressi da lavoro povero, condizioni disumane, abuso sistematico della flessibilità. Spesso con l’aggravio del lavoro irregolare. L’Ispettorato del lavoro segnala ogni anno irregolarità superiori al 70% tra gli stagionali. I lavoratori stagionali sono tra i più fragili, perché più precari. A volte hanno un contratto a tempo determinato, spesso lavorano a chiamata. L’irregolarità abbonda soprattutto nelle realtà di piccole dimensioni: lavoro grigio o nero, parziale applicazione del contratto nazionale, scarsa attenzione al rispetto delle norme su salute e sicurezza [...] Non è un caso se nel turismo si fatica a trovare nuovo personale”.
La risposta che Confcommercio fatica a darsi infatti è quella più ovvia, evidentemente la più difficile da accettare, dato che incide proprio sulle tasche dei padroni. Poi sicuramente c'è anche la selezione operata dai giovani stessi, che avendo la possibilità di scegliere, non vanno a dormire in uno scantinato per lavorare dodici ore al giorno, senza riposi settimanali, per 1400/1600 euro al mese, se va bene. Lo faranno solo se non avranno alternative possibili, e quanto a questo anche di recente il Governo ha cercato di rendere meno agevole la scelta: una piccola norma dell'ultima finanziaria stabilisce che, dal gennaio 2025, i lavoratori che lasciano volontariamente un impiego e trovano un altro lavoro nei 12 mesi successivi dovranno maturare almeno 13 settimane di contribuzione presso il nuovo datore di lavoro, per poter usufruire dell'indennità di disoccupazione in caso di licenziamento. Prima bastavano 13 settimane cumulative di contribuzione negli ultimi 4 anni. Così ci penserai bene e farai i tuoi conti, prima di lasciare un lavoro, per quanto pessimo, per tentare di trovarne uno migliore.
Aemme