Lo scandalo del Monte dei Paschi - L’economia della roulette

Un’inchiesta giornalistica ha portato alla ribalta gli ultimi sviluppi di una lunga storia di imbrogli, frodi e malversazioni che riguardano in particolare il Monte dei Paschi di Siena, terza banca d’Italia, fondata nel 1472, la più antica del mondo.

Per spiegare l’intricatissimo intreccio finanziario in cui sono coinvolti i vertici del Monte, almeno quelli precedenti all’attuale gestione Profumo, un giornalista economico del Sole 24 Ore, Morya Longo, intervistato dai Rai News, si è espresso in questi termini: “È come se un giocatore al tavolo della roulette pensasse di pagare le proprie perdite con un’altra giocata ad un altro tavolo da gioco e perdesse di nuovo, poi cambiasse ancora tavolo, perdesse ancora e così via”. Un’ottima e semplice descrizione del mercato dei cosiddetti “derivati”, ovvero titoli il cui collegamento ultimo con l’economia reale è sostanzialmente irrintracciabile e che sono costruiti praticamente assemblando diversi tipi di scommesse sui corsi dei più disparati contratti finanziari.

L’acquisto di questi derivati, cioè le puntate sui vari tavoli da gioco, e l’ammontare delle perdite, è venuto a galla, pare, in tutta la sua enormità.

Lo scandalo si è fatto subito anche politico. Non solo perché il governo Monti ha aiutato il MPS con quasi quattro miliardi di denaro pubblico, ma anche per i rapporti stretti tra banca MPS e Partito Democratico. Bersani, naturalmente nega qualsiasi responsabilità e la parola d’ordine è: “Il PD fa il PD è la banca fa la banca”. Ma per quanto si possa essere ingenui non si può ignorare che il MPS è controllato dall’omonima fondazione, azionista di maggioranza, con il 35% delle azioni, il cui consiglio di amministrazione è nominato prevalentemente dagli amministratori locali, di Siena e provincia, tutti di Centrosinistra. Non a caso Matteo Renzi, che per l’occasione è tornato ad essere la spina nel fianco di Bersani, ha sottolineato “la responsabilità di chi ha governato la città”.

Ma al di là della ghiotta occasione di propaganda elettorale che la vicenda ha offerto agli avversari di Bersani alla vigilia delle elezioni, la vicenda MPS non fa che confermare quanto siano fradice le basi dell’economia capitalistica contemporanea. Non c’è un nome famoso dell’universo bancario internazionale che non sia stato coinvolto in questo o quel caso di truffa o di frode in grande stile dall’inizio della crisi.

Nel caso MPS non bisogna dimenticare che questi prodotti finanziari dai nomi fantasiosi: Alexandria, Santorini, Nota Italia, la cui contabilizzazione fasulla ha nascosto ulteriori perdite dell’ordine di diverse centinaia di milioni di euro, si aggiungono alle spericolate vicende legate all’acquisto di Antonveneta sul quale è in corso un procedimento giudiziario.

Anche qui ci sono in ballo non solo i dirigenti di MPS ma anche i vari organi di controllo e di vigilanza che hanno lasciato fare: la Banca d’Italia e la Consob in primo luogo, ma anche il Ministero del Tesoro. E oggi è tutto uno scaricabarile di dichiarazioni stile “non spettava a noi controllare”.

Ma non c’è solo questo: sul finire del 2011, guarda caso in concomitanza con i primi giorni del governo Monti, di fronte ad una contestazione di più di un miliardo di imposte non pagate, la direzione MPS “patteggia” con l’Agenzia delle Entrate. Verserà 260 milioni , ovvero solo un quarto circa della cifra contestata. La “lotta contro l ‘evasione fiscale”, annunciata da Monti al momento di insediarsi a Palazzo Chigi, comincia con il piede giusto!

Il passivo conosciuto del MPS era già enorme, circa 1500 milioni di euro, proprio per questo aveva beneficiato degli aiuti di stato, tanto con il governo Berlusconi che con quello Monti. Tremonti bond, a cui si sono aggiunti i Monti bond.

Per uscire dall’impasse e “tranquillizzare” i correntisti e gli azionisti, il nuovo presidente di MPS, Alessandro Profumo, che in aprile aveva sostituito Giuseppe Mussari, aveva annunciato un piano di ristrutturazione che prevede, entro il 2015, 4600 posti di lavoro in meno su 31mila. Chi sa quale prezzo si chiederà ora di pagare ai dipendenti del Monte dei Paschi per questi ultimi imbrogli.

Non hanno nessuna colpa, è vero,ma i “mercati”forse si sentirebbero più tranquilli con qualche sforbiciata in più alle spese per il personale. Intanto, un “dipendente” particolare, l’ex Direttore generale di MPS, Antonio Vigni, se n’è andato alla fine del 2011, quando era già nota la condizione di dissesto dei conti della banca, con una buonuscita di 4 milioni di euro da aggiungere al milione e 400mila di “normale” emolumento annuale.

E già lo sappiamo, ce lo figuriamo il neo-pensionato Vigni invitato a qualche seminario, dibattito o tavola rotonda, a parlarci della indifferibile necessità, per il Paese, di… “valorizzare il merito”.

R.Corsini