I lavoratori della società Porto 2000 sono in lotta per la difesa del posto di lavoro. Si tratta di circa 120 dipendenti di cui più della metà a tempo determinato. I lavoratori accusano la direzione di approfittare dell’epidemia covid-19 per operare una vera e propria ristrutturazione a danno dell’occupazione. Il 12 giugno, dopo un mese di presìdi e iniziative di protesta sotto la sede dell’Autorità Portuale, un gruppo di dipendenti è salito sul tetto del Terminal crociere, struttura gestita dalla Porto 2000, per rendere ancora più evidente alla cittadinanza il motivo della loro lotta.
Un comunicato dei rappresentanti Cgil del personale dice che i lavoratori della società Porto 2000, oltre che con le politiche degli armatori, in genere, devono fare i conti, nello specifico, “con la grande crisi del suo principale azionista, il gruppo Onorato”. In effetti, la situazione dei dipendenti di questa società è particolarmente difficile. La loro attività è legata al traffico passeggeri, traghetti e crociere, al quale forniscono vari servizi, compreso il parcheggio delle auto e il trasporto dei passeggeri all’interno della cinta portuale. Nei tre mesi di blocco quasi totale dei trasporti marittimi per la pandemia, la società ha chiesto e ottenuto la cassa integrazione, ora vorrebbe ridurre il personale nonostante la clausola che imponeva a Onorato, al momento dell’acquisizione della quota di maggioranza, di mantenere i livelli occupazionali. Non c’è solo questo: Onorato è soprattutto un armatore ed è da tempo in crisi, tanto che a marzo una delle sue società, la Tirrenia, ha subito un sequestro conservativo dei conti correnti.
Così risulta evidente che la privatizzazione della Porto 2000 non è stata una scelta felice, almeno per chi ci lavora. Ma a complicare le cose c’è anche la battaglia che gli armatori stanno facendo per quella che in gergo marittimo si chiama “autoproduzione”, cioè la possibilità di compiere le operazioni portuali con personale imbarcato alle loro dipendenze, senza servirsi di quello delle compagnie portuali o di altre società. Questa possibilità è stata garantita fino ad oggi dalla legge 84 del 1994. I sindacati, che a suo tempo persero la battaglia per il mantenimento del monopolio delle operazioni portuali da parte delle compagnie, gestite più o meno tutte come cooperative, cercano ora di imporre agli armatori almeno un adeguamento delle “tabelle d’armamento”, cioè del numero dei marittimi imbarcati, nel caso che gli armatori stessi pretendano di procedere con l’autoproduzione. Lo scontro è aspro e coinvolge anche le varie associazioni di armatori, spesso in lotta tra loro.
Questo groviglio di interessi si risolve, come sempre, in una pressione moltiplicata sui lavoratori dei porti.
I dipendenti della Porto 2000 hanno già pagato anche troppo. Il fatto stesso che siano inquadrati contrattualmente nel commercio invece che nel lavoro portuale testimonia di un arretramento un tempo impensabile. La loro lotta, che ha già portato, come dice il comunicato dei delegati Filcams-Cgil, a “far richiamare una ventina e più di lavoratori precari”, deve avere il pieno appoggio di tutti i lavoratori livornesi e deve aggiungere alle proprie rivendicazioni quella della spartizione del lavoro a parità di salario tra tutti i dipendenti della Porto 2000. Perché, che il traffico diminuisca o meno, bisogna comunque vivere.
Corrispondenza Livorno