Un’altra azienda che chiude, un altro motivo per non rassegnarsi
La lavorazione del pesce surgelato si svolge, come si può capire, in un ambiente reso insalubre dalla rigidità della temperatura. Eppure la maggior parte dei dipendenti della Giopescal, stabilimento di Livorno, sono donne. Ora a questa gente non è più concesso neanche questo modo duro, difficile, di guadagnarsi il pane.
La crisi e la liquidazione di questa azienda aggiunge altri cento lavoratori alla lista, ormai lunghissima, anche nella nostra città e in provincia, dei lavoratori in cassa integrazione e di quelli disoccupati.
La storia che raccontano le operaie e gli operai della Giopescal richiama quella di tanti altri casi simili. Un’azienda che sembrava non avere problemi fino a qualche mese prima della decisione della chiusura da parte della proprietà, tanto che erano state commissionate due nuove grandi celle- frigorifero di nuovissima generazione. Poi, in estate, la Direzione comincia ad accennare ad alcune difficoltà economiche. Esclude ripercussioni sull’occupazione ma chiede uno sforzo per consentire, dice, maggiori risparmi gestionali. Allora la turnazione viene adeguata alle nuove richieste aziendali mentre, per la prima volta, gli operai sono invitati ad arrestare i nastri che trasportano il prodotto da confezionare quando si assentano per andare in bagno. È il segno di una situazione che precipita. A fine novembre viene annunciata la chiusura della fabbrica per il mese successivo. Nel frattempo i lavoratori avevano notato che la produzione scadeva sempre di più in qualità. Si consumava tutto quello che già era in magazzino e il semilavorato non arrivava o, se arrivava, era di qualità peggiore del solito. All’ultimo mancavano perfino gli imballaggi per il prodotto finito.
La protesta dei lavoratori ha almeno costretto l’azienda ad avviare le procedure per la cassa integrazione straordinaria. Per la direzione aziendale, quella stessa che per anni aveva detto ai propri dipendenti, “siamo tutti una grande famiglia”, tutta la faccenda poteva benissimo concludersi con cento operaie e operai sul lastrico. Tutto qui il loro senso della famiglia.
Per quanto fuori dalla produzione, i lavoratori rimangono in collegamento tra loro. Questa è certamente una premessa indispensabile per cercare di ottenere, per tutti, un posto di lavoro decente.
Forse i lavoratori della Giopescal riusciranno a fare qualche passo in più, forse riusciranno a rompere la cappa di rassegnazione che ha consentito, fino ad oggi, di azzerare centinaia e migliaia di posti di lavoro a Livorno e provincia. Forse inizieranno a risalire la corrente e a iniziare un lavoro di denuncia delle logiche padronali. Un lavoro che inviti a raccolta i cassintegrati e i licenziati di aziende come la Delphi o come la Cst-Net di Venturina che, più o meno nello stesso periodo della Giopescal, ha messo 97 lavoratori in mobilità. C’è bisogno di fare arrivare alla collettività la voce di chi sta pagando la crisi, c’è bisogno di una ripresa collettiva della lotta per il lavoro.
Corrispondenza Livorno