L’importanza delle proteste contro Trump

Il 21 gennaio. All’indomani della cerimonia ufficiale di insediamento di Trump a Washington e del suo discorso pubblico, circa mezzo milione di persone si sono riunite nella stessa capitale americana per protestare contro il nuovo presidente e la nuova amministrazione repubblicana. La mobilitazione ha avuto un forte carattere femminista. I diritti delle donne, l’aborto, la contraccezione, l’uguaglianza salariale, sono stati rivendicati a gran voce e comparivano nei cartelli portati dai manifestanti di questa immensa marcia pacifica. Oltre a questi, altri cartelli indicavano come la lotta delle donne si collegasse alle rivendicazioni dei lavoratori e dei settori più oppressi e discriminati della società: salari decenti per tutti, diritti politici agli immigrati, un sistema sanitario che permetta a tutti di curarsi, eguaglianza razziale e fine delle violenze poliziesche contro i neri.

I manifestanti sono venuti in automobile, in pullman, in treno. A un certo punto il sistema dei trasporti pubblici si è ingolfato. Nella capitale erano arrivati un migliaio di pullman in più rispetto alla cerimonia di insediamento.

Anche nelle altre città americane ci si è mobilitati. In tutto, 700 centri hanno visto sfilare le proteste contro il presidente reazionario. Numeri più che rimarchevoli nelle grandi città: a New York 400mila, a Boston 150mila, 250mila a Chicago e altrettanti a Los Angeles. Per tanti giovani si trattava della prima volta che scendevano in piazza. Ma anche in altri paesi si sono avute proteste, centinaia di manifestazioni, dall’Australia alla Nuova Zelanda, a varie capitali europee. In Italia si è manifestato a Roma, Milano e Firenze.

È evidente che una sola mobilitazione non potrà gli attacchi di Trump contro i diritti delle donne. Ma la Women’s march ha dimostrato una grande determinazione da parte delle donne a battersi in prima persona. Questo è probabilmente il risultato più importante, al momento, di questa grande iniziativa politica. Ed è un esempio importante per tutti gli altri. Questa impazienza e questa vogli di agire possono contaminare i lavoratori delle fabbriche e dei quartieri popolari, possono spingerli a lottare per costringere Trump a mantenere le sue promesse di nuovi posti di lavoro.

Se questa marcia non fermerà, da sola, la politica sempre più reazionaria portata avanti sia dai repubblicani che dai democratici, può essere tuttavia un punto di partenza importante. Essa insegna che si può e si deve contare solo sulle proprie forze per le proprie rivendicazioni. Non bisogna dimenticare che i democratici, che hanno incoraggiato questa mobilitazione ora che non sono più al governo, non hanno mai fatto appello alle dimostrazioni di piazza negli ultimi 8 anni, quando al potere c’era Obama.

Allora si lamentavano dell’ostruzionismo parlamentare dei repubblicani, ma non si sono mai sognati di invitare le masse a protestare o i lavoratori a scioperare per le riforme sociali che avevano sbandierato nelle campagne elettorali.

Nessuna illusione, dunque, né le donne, né le minoranze razziali, né gli immigrati e gli operai hanno mai avuto chi li difende tra i politicanti di Washington.