Anni di crescita ininterrotta, poi il bengodi della pandemia: gonfie di profitti fino a scoppiare, le aziende tecnologiche hanno ingranato la retromarcia. Con il nuovo anno, un'altra epidemia attraversa tutto il mondo delle big tech. Stavolta però è un'epidemia di licenziamenti
Se è vero quello che sosteneva il professore dell’Università di Berkeley Enrico Moretti nel suo libro "La nuova geografia del lavoro", citato su un articolo del Corriere della Sera del 2 febbraio u.s., per cui "ogni nuovo posto di lavoro in campo digitale si porta dietro altri 5 posti di lavoro tradizionali di fascia medio bassa", perché "dove si sviluppa un quartiere di aziende tech nascono servizi di base come ristoranti, bar, trasporti" etc., allora il problema - già enorme - non si limita ai licenziamenti del personale di alta fascia delle aziende tecnologiche. L'effetto domino rischia di travolgere anche migliaia di attività direttamente o indirettamente collegate, e l'origine del tracollo si trova ancora una volta dove già altre volte si è verificato: dagli Stati Uniti infatti parte la serie di licenziamenti a tappeto che ha interessato tutte le principali aziende ad alta tecnologia.
Al momento, l'unica società big tech a non aver ancora proceduto a licenziamenti consistenti è rimasta Apple. La società che gestisce Facebook, la Meta, ha già provveduto alla liquidazione di oltre 11.000 dipendenti. Amazon, dopo la sbornia di profitti realizzati in tempo di pandemia, ha pensato bene di passare a una energica riduzione di personale, dando il benservito a oltre 18.000 dipendenti. Anche Microsoft ha valutato che può agevolmente fare a meno di 10.000 dipendenti. A sua volta, Twitter ha fatto fuori 3.700 dipendenti, più o meno la metà del personale, da quando ne ha assunto il controllo Elon Musk (patrimonio personale intorno ai 200 miliardi di dollari). Anche Spotify, l'azienda che mette a disposizione brani musicali in rete, nel suo piccolo (ha solo 9.800 dipendenti), ha proceduto a 600 licenziamenti. IBM annuncia tagli per 3.500 persone. SAP, che si occupa di software aziendali per le imprese, ne manda a casa 3.000. Coinbase, la piattaforma di vendita dei bitcoin, ne butta fuori 950, ma sono il 20% del suo personale. Infine Google, il motore di ricerca più diffuso su Internet, ha licenziato dall'oggi al domani 12.000 persone.
Può sembrare un paradosso, ma nel mondo alla rovescia del capitalismo l'Amministratore Delegato di Alphabet, la società che gestisce Google, Sundar Pichai, può affermare come cosa di buon senso che "Negli ultimi due anni, abbiamo vissuto periodi di crescita drammatica. [Proprio così: crescita drammatica] Per sostenere e alimentare questa crescita, abbiamo assunto in un contesto economico diverso da quello che conosciamo oggi". (La Repubblica, 20.1.23) Tradotto: siccome al momento la crescita non è più così drammatica, il dramma possa direttamente a voi, dato che da oggi in poi non ci servite più. Inutile dire che questi licenziamenti sono stati elegantemente eseguiti nei modi più creativi: dall'improvviso oscuramento del proprio account aziendale, alle password per accedere ai siti cambiate senza preavviso, alle mail bloccate, il tutto eseguito ancora prima di avvertire del licenziamento avvenuto. Nemmeno il tempo di salutare i colleghi, che arriva una comunicazione dal Capo del seguente tenore:" Googlers, ho una notizia difficile da condividere. Abbiamo deciso di ridurre la nostra forza lavoro di circa 12.000 unità […] Questo significherà dire addio ad alcune persone di incredibile talento che abbiamo assunto con fatica e con cui abbiamo amato lavorare. Sono profondamente dispiaciuto per questo […] Ai Googler che ci stanno lasciando: grazie per aver lavorato così duramente per aiutare le persone e le aziende di tutto il mondo. Il vostro contributo è stato inestimabile e ve ne siamo grati.". Queste le modalità. Ovviamente calibrate secondo le normative dei vari Paesi, magari forse un po' meno brutali e un po' più graduali dove le normative non lo consentono.
In compenso, c'è chi può approfittarne. Anzi, c'è tutto un mondo dove le notizie che per molti sono una catastrofe si trasformano immediatamente in opportunità. Secondo Forbes, la rivista statunitense di attualità economica e finanziaria, subito dopo l'annuncio dei licenziamenti i titoli delle aziende in Borsa hanno subito spiccato un balzo in alto, e non di poco. Meta (Facebook), ad esempio, ha visto esplodere il valore delle proprie azioni del 50%: "Un fenomeno che, secondo gli analisti, continuerà per tutto l’anno, facendo aumentare i valori in Borsa, ma probabilmente spingendo milioni di persone verso la disoccupazione prima di una potenziale recessione […] Mentre gli annunci di massicci licenziamenti dovrebbero continuare, martedì gli economisti della Bank of America hanno detto ai clienti che si aspettano che il tasso di disoccupazione salirà dal suo attuale livello del 3,5% al 5,1%" (Forbes Italia, 23.1.23). Buone notizie per gli azionisti, no?
Aemme