A Taormina si è consumata una rottura tra Europa e Stati Uniti? Così ha fatto capire la Merkel, appena di ritorno dal G7, nel corso di un comizio elettorale in Baviera. Tutti i notiziari hanno dato risalto a certi passaggi del suo discorso: “Dobbiamo combattere per il nostro destino, prenderlo nelle nostre mani, i tempi in cui dipendevamo completamente dagli altri sono finiti”. Parlando alla prima persona plurale, la Merkel si propone come portavoce di tutti gli europei, nel confronto con gli Stati Uniti. Il suo ministro degli Esteri, Sigmar Gabriel, ha parlato di “un nuovo ruolo dell’Europa” dopo che l’America avrebbe dimostrato a Taormina di rinunciare al suo ruolo di “grande nazione occidentale”.
Certo, è indubbio che il G7 è finito con un nulla di fatto. Trump ha confermato tutto il suo scetticismo sugli accordi per limitare gli effetti delle emissioni da combustibili sulle variazioni climatiche e ha imposto un testo inoffensivo sulla condanna al protezionismo. Ma il fatto che da vertici internazionali di questo tipo non esca niente di concreto non è certo una novità. Troppi sono gli interessi in ballo e troppe le contrapposizioni perché si esca dal perimetro delle poco impegnative dichiarazioni d’intenti. Anche quella su cui tutti sono sembrati d’accordo, che riguardava la lotta al terrorismo islamista, è stata ridicolizzata nei fatti dal contratto miliardario di fornitura di armi, stipulato dagli USA con il governo saudita appena qualche giorno prima. Trump si presta ad essere descritto come il classico elefante nel negozio di cristalli ma, come ha osservato acutamente un editorialista di Famiglia Cristiana,Fulvio Scaglione, commentando proprio il contratto di 110 miliardi firmato a Riad, “i veri policy makers americani, almeno per quanto riguarda la politica estera, non sono i Presidenti e nemmeno i loro diretti consiglieri, ma altre figure: i pezzi grossi del Dipartimento di Stato, del complesso militar-industriale, dei servizi segreti”.
Del resto, non è che i paesi europei siano, tra di loro, questo grande blocco compatto. Lo si è visto anche a Taormina, dove il rapporto di Trump con il neo-eletto Macron è stato di ben diverso tenore. Sulla questione degli accordi per il clima, ad esempio, ha detto di aver trovato in Trump un politico “disposto all’ascolto”. Più che una differenza di merito sul giudizio della presidenza americana, si tratta dell’affermazione di un ruolo autonomo della politica estera e della diplomazia francese nei confronti di quella tedesca.
I commenti in Italia, cominciando da Gentiloni, sembrano allinearsi prudentemente dietro le posizioni tedesche. Fermo restando che si temono, come ha detto Paolo Magri dell’ISPI, il più importante centro di studi sulla politica internazionale, gli spazi “eccessivi” che si aprono alla “guida tedesca”.
Il capitalismo italiano è alle prese, come del resto quello tedesco, con il problema di non perdere terreno nel grande mercato americano. Gli USA rappresentano ormai il secondo mercato di sbocco dell’export italiano, e questo è aumentato, dal 2010 al 2016, del 59%. Non a caso, il Corriere della sera, che della grande borghesia italiana riflette in gran parte gli interessi, ha pubblicato, il 29 maggio, un articolo ricco di dati e considerazioni sull’importanza degli USA come mercato di sbocco per l’industria nazionale.Federico Fubini, l’autore dell’articolo sostiene: “Chiunque governi in Italia nei prossimi mesi, dovrà chiedersi da che parte sta. E se non è possibile farlo sulla base dei valori, in un Paese profondamente diviso, allora diventa inevitabile scegliere una posizione sulla base deifatturati e degli interessi. Questi dicono che l’Italia oggi sta con la Germania”. L’interesse comune, dice Fubini, è contrastare il protezionismo di Trump, ed è su questo terreno che, sia Germania che Italia, devono confrontarsi con gli Stati Uniti. Conviene dunque, al di là ditutte le chiacchiere sui “valori europei” coltivare un buon matrimonio di interessi con i tedeschi.
Da parte sua, consapevole che la diplomazia di un paese è tanto più “autorevole” quanto più le forze armate di questo paese incutono timore, la Germania si sta attrezzando. In attesa di un esercito europeo che è ancora ben lontano dall’orizzonte, la Bundeswehr, l’esercito tedesco, nell’indifferenza generale, ha già incorporato due reparti olandesi e si appresta a incorporarne altri della Repubblica Ceca e della Romania.
L’imperialismo tedesco sembra imboccare le vie che ha già battuto in passato.
R.Corsini