Legge delega sul lavoro: un posto precario per tutti

Pessimisti sono tutti, tranne il Presidente del Consiglio. Ma tant’è: l’Ocse e il Fondo monetario internazionale si dicono pessimisti sulla crescita dell’Italia. Pare che il Fmi abbia rivisto al ribasso le stime sul PIL italiano, prevedendo nel 2014 una contrazione dello 0,1% - il che è tutto dire, considerando che a partire da quest’anno nel calcolo del PIL saranno introdotti anche traffico di droga, prostituzione e contrabbando (non si sa bene come calcolati). Ma per fortuna – secondo il Fmi – si metterà in atto una “ambiziosa” riforma del mercato del lavoro


Il Fmi aveva previsto per quest’anno per l’Italia una pallida crescita dello 0,3%, ma ora rivede i suoi calcoli e dà il nostro Paese in recessione almeno fino al 2015. La crisi precipita e il tributo chiesto ai lavoratori non basterà mai. Insieme alle nuove stime, il Fmi precisa che “ottenere risparmi significativi sarebbe difficile senza intervenire sulla grande spesa pensionistica”, mettendo ancora un’ipoteca sulle pensioni, già abbondantemente falcidiate con le ultime riforme. Inutile dire che il capo della missione annuale del Fmi in Italia, Kenneth Kang, nell’ipotizzare nuove stime al ribasso per l’Italia, afferma che il Fondo “sostiene gli obiettivi dell’ambiziosa riforma del mercato del lavoro”, la quale dovrebbe risolvere “l’ampio gap tra lavoratori a tempo indeterminato e lavoratori a tempo determinato”, naturalmente per “fornire incentivi alle aziende affinché investano sui lavoratori”. Giacché ci siamo, secondo Kang, ci sarebbe anche “bisogno di rendere i salari più decentralizzati al livello aziendale. Questo è importante perché con salari meglio allineati alla produttività, si fornisce un segnale per le aziende al fine di allocare lavoratori e risorse ad aree di business più produttive”. In poche parole, basta con i contratti nazionali; lasciamo fare alle imprese che si regoleranno come meglio credono.

Il famoso jobs act si sforza di aderire a questi criteri. In sostanza è una legge quadro con la quale si stabiliscono alcuni principi generali, che poi il Governo metterà in atto con una serie di decreti delegati. L’intero iter sarà ultimato a primavera, ma le sue caratteristiche sono già chiare. Basta ricordare alcuni punti salienti: contratto a tutele crescenti; revisione della disciplina dei controlli a distanza e delle mansioni; estensione delle prestazioni di lavoro accessorio per attività discontinue in tutti i settori; impossibilità di cassa integrazione in caso di cessazione di attività aziendale; cassa integrazione di durata variabile in base all’anzianità del lavoratore; rimodulazione della cosiddetta aspi, l’indennità di disoccupazione, rapportandone la durata alla storia contributiva pregressa del lavoratore, così come l’importo stesso, che varierà, diminuendo per i lavoratori che ne avranno usufruito di più in passato; eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale. Con il contratto a tutele crescenti, in teoria si sarebbe assunti a tempo indeterminato, in pratica licenziabili in ogni momento con un indennizzo proporzionato all’anzianità di servizio; risulta così definitivamente affossata la norma dell’art. 18 che prevedeva il reintegro del lavoratore per i licenziamenti senza giusta causa. Si potrà essere controllati e spiati a distanza durante l’attività lavorativa, e se l’azienda lo vuole, si dovrà accettare di ridurre mansioni e salario per poter conservare il posto di lavoro. La cassa integrazione non si considera più un diritto collettivo, ma strettamente individuale e collegato alla propria storia professionale. Il sistema dei voucher, oggi usato principalmente per attività occasionali, potrà essere esteso a settori professionali, per attività non continuative.

E’ la tappa ulteriore di un percorso iniziato da anni, e che già oggi potrebbe dare sostanziose soddisfazioni al signor Kang. Nel primo trimestre del 2014 il 67% delle assunzioni effettuate è stato formalizzato con contratti a tempo determinato, l’8% con contratti di collaborazione, poco più del 2% con contratti di apprendistato, e solo un residuale 17,6% con contratto a tempo indeterminato. Su due milioni di contratti attivati, la durata di ben 804.969, il 43,5%, è stata inferiore al mese, e 331.666, quindi 1 su 6, ha avuto la durata di un giorno…quasi quanto quelli di durata superiore a un anno, 397.136 (Fonte: Cgil). Il tutto, ovviamente, senza tenere conto che l’estrema parcellizzazione del lavoro non ha eliminato né il lavoro nero né quello parzialmente nero, magari con contratti stipulati part time, e pagati in parte fuori busta, o semplicemente non pagati. L’art. 18 in realtà era già stato svuotato, prima ancora di essere demolito.

Abbiamo tuttavia anche ottime notizie, sebbene non siano riferite alla fascia sociale che ci riguarda. Secondo il Sole 24 Ore del 17 settembre scorso, “i miliardari non conoscono crisi. Neppure nell’Italia in recessione.” L’ultimo rapporto di alcune società finanziarie sui grandi patrimoni “fotografa un segmento in continua crescita. Nel periodo dal luglio 2013 al giugno di quest’anno il loro numero a livello globale è aumentato del 7%, passando da 2170 a 2325”. Ma anche in Italia vediamo che questo settore della popolazione è estremamente florido, e fa del suo meglio perché la crisi sia pagata da altri: “In Italia gli individui con un patrimonio netto superiore a un miliardo di dollari sono passati in un anno da 29 a 33, e la loro ricchezza da 97 a115 miliardi di dollari, pari a un incremento del 18,6%, ed equivalente al 5,7% del PIL italiano.”

Un incremento a due cifre in tempi di recessione…ma non ci sono soldi per gli ammortizzatori sociali.

Aemme