Le famose “ronde” sono state infine inserite nel decreto legge sulla sicurezza. Il decreto fissa una cornice normativa generale e delega il ministero dell’Interno a definire un regolamento che stabilisca in dettaglio gli ambiti operativi delle associazioni (questo è il nome “politicamente corretto” delle ronde), i loro requisiti, e le modalità con cui queste sono registrate dalle prefetture.
Tutto il rumore che si è fatto - anche e soprattutto da parte degli ambienti di centrosinistra - nei mesi scorsi è stato, in fin dei conti, funzionale alla campagna politica che il partito di Bossi e Maroni ha orchestrato. La Lega si vuole mostrare come il partito della gente pratica che risolve i problemi senza tante lungaggini. Lo vuole perché ha bisogno di mantenere un proprio ruolo distinto nella maggioranza di governo, lo vuole perché di fronte all’incalzare della crisi, che morde sempre di più anche il “suo” Nord e il “suo” Nordest, deve scovare un diversivo.
A proposito delle ronde, si è fatto riferimento, da più parti, al pericolo di un nuovo squadrismo. È chiaro che il modo stesso in cui le ronde sono state “lanciate”, come in uno spot pubblicitario, dalla Lega e dalla stampa fiancheggiatrice, solletica e incoraggia gli umori più reazionari e i pregiudizi razziali più incarogniti. Ma tutto, almeno per ora, sembra più una parodia del fascismo che qualcosa di più serio. Più ancora che con il fascismo, per la verità, il paragone è da farsi con quelle Citizen League, quelle associazioni di “cittadini” che ricorrono molte volte nella cronaca sociale americana della prima metà del novecento. Erano gruppi sponsorizzati dalle camere di commercio o da qualche grande monopolio e, sotto l’etichetta dei difensori dell’ordine e della difesa dello stile di vita e dei valori americani, aggredivano gli immigrati, i neri, gli operai in sciopero. Di queste “ronde” americane gli imitatori leghisti hanno riprodotto, per fortuna, almeno fino ad ora, solo l’ottusità intellettuale e non la grave pericolosità sociale. Un altro aspetto, che costituisce, più che una parodia, un piccolo modello di tecnica del colpo di stato, è il tentativo di far passare il ministro Maroni come il “disciplinatore” di un fenomeno altrimenti dilagante e pericoloso. È proprio il copione tipico del colpo di stato. Le forze politiche golpiste “costruiscono” una sobillazione che viene presentata dalla propria stampa come la reazione spontanea dei cittadini al degrado delle città, allo strapotere della delinquenza di matrice straniera, agli spacciatori, agli stupratori, ecc. Gruppi di “bravi” cittadini si organizzano da sé. Da qualche parte iniziano gli eccessi. Qua viene bruciato un locale frequentato da extracomunitari, là si sgombra a forza un campo rom, ecc.
A questo punto, il “partito dell’ordine” si impone; in primo luogo - con un paradosso solo apparente – per mettere in riga prima di tutto…i suoi stessi uomini! Non hanno intitolato i giornali: Maroni dice basta alle ronde “fai da te” ?
Tanto la parodia quanto il modello in scala ridotta sono comunque il sintomo di un clima reazionario che l’aggravarsi della crisi rischia di esasperare.
Il contenuto giuridico di tutto questo clamore è praticamente nullo. Nessuna legge fino ad ora ha mai proibito a un qualunque gruppo di cittadini di girare per la città disarmati e con dei telefonini per restare in contatto fra loro. Le ronde potevano benissimo continuare a vivere senza il bisogno di nessun regolamento. Quest’ultimo, d’altra parte, non può aggiungere nulla alle leggi sulla pubblica sicurezza. Lo “confessa”, in un certo senso, un giornalista de “La Padania”, Luciano Dussin, che scrive con chiarezza invidiabile: “Esiste da sempre nel nostro codice penale l’obbligo di segnalare un reato se si è testimoni, pena l’eventuale chiamata in causa per corresponsabilità del fatto; inoltre è data la possibilità, ad uno o più cittadini, di arrestare chi commette un reato in flagranza. Questo è scritto nel nostro codice penale, tutto il resto è montatura politica”. Appunto.
Ma due parole vanno spese anche per i cosiddetti oppositori del progetto leghista. Quasi tutti si sono detti convinti sostenitori del monopolio delle forze di polizia nel controllo del territorio, invocandone anzi un rafforzamento. Posizioni queste, sostenute per altro da una parte dello stesso centrodestra, che alimentano un’ideologia non meno perniciosa di quella dei Maroni e soci. Chi sostiene questi argomenti, pur professandosi progressista e democratico, lascia ad altri il terreno dell’auto-organizzazione popolare. Se le ronde di Maroni rappresentassero sul serio i segni premonitori di una involuzione del quadro politico nel senso di una dittatura fascista o semi-fascista, le invocazioni agli apparati repressivi dello stato, come insegna tutta la storia delle dittature e dei colpi di stato, servirebbe solo a spianarle la strada. I reazionari e i fautori della dittatura fascista continuerebbero ad organizzarsi in ronde, in squadre, in gruppi, ecc., mentre i loro avversari, soprattutto le forze della sinistra e del movimento operaio si limiterebbero a delegare alle forze dell’ordine la tutela delle libertà politiche e sindacali, senza neanche azzardarsi a organizzare con le proprie forze la difesa delle proprie sedi, delle proprie manifestazioni, delle proprie riunioni.
Se la pratica dell’auto-organizzazione è divenuta un segno distintivo e una bandiera di una forza reazionaria come la Lega Nord, questo è dovuto soltanto alla debolezza dei lavoratori come classe, alla mancanza di una direzione politica, autonoma seria e riconosciuta del mondo del lavoro.
Se la classe lavoratrice ritroverà la fiducia nelle proprie forze, non rifiuterà di certo la possibilità di organizzare proprie “ronde”. Le ronde operaie vigilerebbero, tanto per cominciare, sulle condizioni di sicurezza delle fabbriche e dei cantieri. Scoraggerebbero l’inosservanza di tutte le norme che tutelano le condizioni di lavoro da parte degli imprenditori. Sarebbe un modo operaio per parlare di sicurezza in un paese dove muoiono sul lavoro quattro lavoratori al giorno!