Squinzi chiede ai Sindacati di “guardare più lontano”. Viene da chiedersi lontano quanto, e in che direzione. Squinzi la chiama “modernizzazione”, più concretamente significa “guardare indietro” nel tempo, tornando al passato con i metodi subdoli del nuovo millennio.
In questo autunno 2015 sarebbe ragionevole aspettarsi di sentire le voci degli oltre sei milioni e mezzo di lavoratori in attesa dei rinnovi contrattuali, a partire dal settore pubblico – fermo da tempo immemorabile – per continuare con i metalmeccanici, i chimici, i tessili, i lavoratori del turismo e dei servizi. Invece si è sentita soltanto una voce, forte e chiara: quella del padronato, nella persona del Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che pontifica da agosto su quello che dovrà essere il futuro del lavoro in Italia.
Il capo della Mapei, industria chimica con 56 stabilimenti in 34 Paesi, Italia compresa, ha tutte le carte in regola per ritenere che sia arrivato il momento buono per sferrare un nuovo attacco alle condizioni dei lavoratori. Se guardiamo agli ultimi anni, è una sequenza ininterrotta di posizioni perse dalla classe operaia, con una progressione che – da lenta e scarsamente percepita all’inizio, con l’affermarsi del precariato – è stata sempre più rapida, a fronte di una difesa inadeguata e insufficiente. Se permarranno queste condizioni, è facile intravedere il futuro che ci aspetta. Squinzi lo ha reso pubblico anche in una recente intervista alla Stampa del 12 settembre, dopo averlo confidato ai rappresentanti dei tre sindacati confederali, ospitandoli nella sede di Confindustria.
Non pago dei regali ricevuti dal Governo, primi fra tutti jobs act e sgravi contributivi, Squinzi ha già pronta la prossima ricetta, e al benevolo premier che esorta gli industriali a piantarla con i “piagnistei”, risponde richiamandolo al dovere di “andare avanti con decisione sulle riforme” e definendo i programmi delle imprese “richieste legittime”. Le richieste legittime di cui tratta l’autorevole personaggio si potevano intravedere del resto già da alcuni mesi; la prossima tappa sarebbero stati i contratti, e non semplicemente per rinnovarli…anzi. Tanto per sgombrare il campo dal proposito di aumenti salariali, Squinzi premette che – basandosi sull’inflazione effettiva, e considerando quanto già corrisposto con gli aumenti del contratto in corso – “sarebbero i lavoratori che dovrebbero ridare i soldi alle aziende”.
Mediamente, misurando a modo loro lo scollamento tra inflazione programmata e inflazione reale, le aziende potrebbero pretendere indietro dai lavoratori 80 euro al mese. Posto questo avvertimento (minaccia?), Squinzi passa alla soluzione del problema: “il salario deve crescere se la produttività cresce. E la produttività si misura solo a posteriori “. Cioè, in pratica: oggi intanto lavori quanto e come ti dico io, domani – in base a quanto mi hai reso in termini di profitti – deciderò io quanto e cosa vorrò elargirti. Potrebbero essere anche benefit, come una mutua integrativa aziendale, buona per tappare qualche falla di una sanità sempre più svuotata dai tagli. Oppure buoni spesa da utilizzare in supermercati convenzionati. Chissà che non tornino anche gli ottocenteschi spacci aziendali, dove il lavoratore potrà restituire i pochi soldi faticosamente guadagnati.
E’ un obiettivo sicuramente allettante per Confindustria, e indubbiamente a portata di mano: manca solo un gradino e sembrerà inevitabile che a ogni aumento contrattuale corrisponda preventivamente un aumento nella quota dello sfruttamento, un’estensione della flessibilità, una crescita dei profitti. E sarà gioco facile non concedere niente piangendo miseria, perché chi mai andrà a controllare i bilanci delle aziende? E’ una ricetta buona anche per la piccola impresa, la tipica ossatura del tessuto industriale italiano, perché consentirebbe di evitare la perequazione al minimo per le imprese che non hanno contratti aziendali: invece di pagare una somma di compensazione, potrebbero approfittarne per chiedere in cambio prestazioni in più.
Comunque, una cosa è certa: Confindustria non ha intenzione di firmare contratti che non siano stipulati in base a regole diverse... “Se si fa un contratto bisogna fare un nuovo contratto. Ogni associazione di categoria ha la sua autonomia e ovviamente può firmare i contratti che vuole in qualsiasi momento, ma in Confindustria siamo comunque tutti d’accordo che è il momento di cambiare le regole e di applicarle al più presto.”
Le imprese, grandi o piccole, sanno che è il momento buono: un Governo che le accontenta, un basso costo del denaro, il petrolio che costa poco, una classe operaia senza direzione.
Non c’è alternativa: bisogna smentirle con i fatti, dimostrando che i lavoratori sanno ancora difendersi.