Le idee dominanti sono quelle della classe dominante

Già in fibrillazione in vista dell’appuntamento elettorale di primavera, partiti e partitini espongono le loro ricette per “uscire dalla crisi”; programmi e programmini non sono un modello di chiarezza. Di sicuro c’è solo un fatto: in linea di massima, pur con varie sfumature e con rare eccezioni, il modello Monti non è in discussione, di conseguenza non è in discussione il massacro sociale né la feroce determinazione a collocare il debito pubblico interamente sulle spalle dei lavoratori, così come l’intenzione di recuperare competitività per le imprese erodendo ancora i salari e gli orari di lavoro.

Tutti concordano sulle misure di rigore come di un male necessario; tutti promettono la foglia di fico delle ipotetiche “politiche per la crescita”, la cui mancanza finora avrebbe prodotto danni, ma che una volta adottate metterebbero a posto le cose. D’altra pare, per qualsiasi politica cosiddetta “equa” mancano i fondi, ma ci si penserà nella famosa fase 2.

Tutti discutono di come far “ripartire il sistema”, ma nessuno dei privilegiati che pontificano dagli schermi televisivi sarebbe disponibile a rinunciare a uno solo dei propri privilegi; interessante, a questo proposito, l’atteggiamento nei riguardi di una ipotetica tassa sui grandi patrimoni, che periodicamente aleggia per cadere subito dopo nel vuoto.

Il giornalista economico del Corriere della Sera titola di recente (13.11.12) “Un errore anche parlarne”, liquidando l’ipotesi della patrimoniale come una terribile iattura, che spingerebbe i patrimoni in fuga all’estero (come se non ci andassero lo stesso) e li toglierebbe alle banche, che di questi stessi patrimoni si servirebbero per fare prestiti a imprese e privati (come se le colossali iniezioni di denaro passate dai bilanci pubblici alle fauci delle banche avessero facilitato i prestiti, e non la speculazione più sfrenata, anche sugli stessi bilanci pubblici che le hanno “salvate”).

E’ curioso come per questi fior di economisti qualsiasi provvedimento sui lavoratori e le classi popolari sia tanto doloroso quanto assolutamente indispensabile, saggio e utile, mentre qualsiasi intervento sulla classe sfruttatrice sia pienamente assurdo e dannoso, non tanto per la classe in sé, quanto proprio per l’intera società. Come se ridurre alla fame l’80% della popolazione o far lavorare le giovani generazioni solo con contratti precari facesse ripartire i consumi, o far lavorare la gente fino a 68 anni aumentasse i posti di lavoro e la competitività delle imprese, e il tutto fosse un bene per la società – e alla fine dei conti anche per il sistema capitalistico.

Non che ci appassioni molto il dibattito su come far funzionare meglio il capitalismo, o le proposte di riforma per farlo uscire dalla crisi; si intende solo registrare come il linguaggio dei politici e della stampa borghese ci abbia abituato agli argomenti più irrazionali, e spesso alle più evidenti bestialità presentate come verità ovvie. Sappiamo che può farlo perché purtroppo le idee dominanti sono quelle della classe dominante. Ma siamo certi che se la classe operaia vuole salvare se stessa, e allo stesso tempo tutta la società, deve per prima cosa prenderne coscienza.