È stato coraggioso il discorso del presidente Mattarella in occasione della Giornata della Memoria? Lui e tutti quelli che hanno scritto e parlato indicando le colpe, non solo tedesche ma anche italiane, sono andati in fondo al problema? No.
Non potevano farlo. Perché fare i conti in modo non ipocrita con la complicità e l’attiva collaborazione degli apparati di stato fascisti con lo sterminio degli ebrei significa anche dire la verità su che cosa è successo dalla fine della guerra in poi. Mattarella ha pronunciato queste parole: “La metà degli ebrei italiani, deportati nei campi di sterminio, fu catturata e avviata alla deportazione dai fascisti, senza il diretto intervento o una specifica richiesta da parte dei soldati tedeschi”.Giusto, anzi, giustissimo. Quello che tanto il Presidente della Repubblica quanto tutti gli altri “dimenticano” è che quasi tutti gli entusiasti fautori e collaboratori della “politica razziale” del regime fascista salvarono le loro vite e le loro carriere.
La lista dei “salvati” sarebbe lunghissima. Lo storico Mimmo Franzinelli scrive: “Teorici del razzismo, artefici della legislazione antisemita del 1938, cittadini responsabili di delazioni dall’esito fatale, militari e funzionari della RSI solerti collaboratori dei nazisti nella «soluzione finale»godettero nel dopoguerra di una generosità davvero straordinaria. Roma era stata l’epicentro dei processi decisionali antigiudaici e proprio nella capitale furono prosciolti nel 1946-47, spesso in fase istruttoria, i protagonisti della persecuzione razzista, personaggi che dalla campagna di «arianizzazione»avevano ricevuto notorietà e onori”. Il libro di Franzinelli da cui abbiamo preso la citazione si intitola “L’amnistia Togliatti”. Fu infatti un disegno di legge del segretario del Partito comunista italiano, allora ministro di Grazia e Giustizia, disegno immediatamente approvato e promulgato come “Decreto presidenziale di amnistia e indulto” il 22 giugno 1946, a fornire una solida base giuridica ad una delle più vergognose ingiustizie della storia italiana. Non stupisce: gli stalinisti erano convinti che la loro “via italiana al socialismo” si dovesse incarnare in una politica di “pacificazione nazionale” che allontanasse dal PCI il sospetto di essere ancora un partito rivoluzionario. La guerra fredda non era ancora iniziata e Stalin pensava ancora che i suoi partiti-satellite più forti potessero condividere il potere con le varie borghesie nazionali.
L’impunità regalata ai fascisti e quindi anche ai persecutori degli ebrei fu soprattutto l’affermazione della continuità degli organi dello Stato e delle classi dirigenti, al di là della retorica sulla “Repubblica nata dalla Resistenza”. Per fare qualche esempio, nessuno tra i firmatari del famigerato Manifesto degli scienziati razzisti, del luglio 1938, fu condannato e tutti proseguirono la loro carriera. Il primo di loro, Nicola Pende, padre dell’eugenetica italiana, non solo mantenne gli incarichi accademici ma gli venne intitolato un premio internazionale e un’aula universitaria dopo la sua morte. A Bari una via portava il suo nome fino al 2006! La vicenda di Gaetano Azzariti è ancora più emblematica della continuità degli apparati statali fascisti e post-fascisti. Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero di Grazia e Giustizia dal 1927 al 1949, aderisce nel 1938 al Manifesto razzista e diviene poi presidente del Tribunale della razza. La sua carriera prosegue indisturbata dopo la guerra e nel 1957 è nominato…Presidente della Corte costituzionale!
Il caso di Azzariti non è certamente un’eccezione. Quasi tutto l’apparato statale dal 1945 in poi è formato da funzionari e dirigenti ex-fascisti. Tra questi, i questori, i prefetti, i giudici che hanno collaborato attivamente alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei italiani. Arrestare, processare e condannare chi aveva appoggiato attivamente le leggi anti-ebraiche, chi aveva denunciato e rastrellato gli ebrei a famiglie intere avrebbe significato arrestare, processare e condannare se stessi.
Dunque, chi oggi “denuncia” genericamente le responsabilità italiane nel genocidio degli ebrei, non offre una prova di grande coraggio politico. La verità è che l’apparato statale della “Repubblica nata dalla Resistenza” era più o meno lo stesso di quello del regime fascista, compresi coloro che spedirono ottomila ebrei italiani nelle camere a gas. Ma dire questa verità, mostrare questo marciume, che per la ricerca storica è ormai un fatto assodato, metterebbe in crisi la favola di un’Italia rigenerata dal sacrificio dei partigiani e completamente redenta dal fascismo.
Di fronte al ripetersi di episodi di razzismo e di antisemitismo, si è detto che tutto l’orrore della Shoahpotrebbe ripetersi. È vero, ma la dimostrazione di questa asserzione non è solo nel diffondersi del veleno razzista, nella violenza verbale dei vari leader della destra parlamentare o in quella più materiale dei gruppuscoli fascisti. Fa molto più riflettere la duttilità degli apparati di stato. Trasformatisi rapidamente da monarchico-costituzionali in fascisti e da fascisti in repubblicani democratici, sarebbero perfettamente in grado, senza grandi turbamenti, di trasformarsi di nuovo in pilastri di un ordine neo-fascista.
Al di là di tutte le forme politiche che può prendere, è la sostanza di classe dello Stato che non è cambiata. La grande borghesia era e resta al comando e il suo potere rappresenta il più grande pericolo, in Italia e nel mondo, per la sopravvivenza del genere umano. La lotta al fascismo e al razzismo diviene una frase vuota se non è lotta contro il capitalismo che li ha generati una volta e può generarli ancora.
RC