Nel mondo occidentale, e nei paesi di vecchia industrializzazione, la quota destinata al lavoro dipendente è diminuita, e in Italia più che altrove: “Posta uguale a 100 la quota del compenso del solo lavoro dipendente sul PIL nel 1980, si vede però che nel 2010 per tutti i paesi considerati la quota è diminuita, da un minimo di 4,24 punti in Giappone ad un massimo di 11,83 punti in Italia.”(1)
Nella quota del lavoro dipendente, inoltre, conteggiano anche gli stipendi dei dirigenti. Si atteggiano a lavoratori “dipendenti”, ma certo sono super -salariati, e una parte ingente del reddito, destinato sulla carta al mondo del lavoro, va proprio a questi sfruttatori.
Quindi le lacrime delle imprese sono la solita commedia. Preferiscono versare enormi stipendi ai top manager, piuttosto che assicurare i salari degli operai. Si sa che ogni aumento del salario porta a una riduzione dei profitti, ma è ora che la grande industria italiana, che ha lucrato vergognosamente su un abbassamento del salario reale che ha pochi paragoni nei paesi avanzati, conceda qualcosa del maltolto. I lavoratori non devono farsi carico degli interessi delle aziende, ma dei propri salari e delle condizioni dei disoccupati.
Ci hanno sempre detto che occorre ridurre il costo del lavoro, in realtà occorre lottare per aumentarlo, alzando anche il salario differito e indiretto (le pensioni, i servizi pubblici, le prestazioni sanitarie, ecc).
Non è la produzione che deve decidere della vita dei lavoratori. Il capitale se ne infischia della vita dei lavoratori (si pensi ai quotidiani omicidi bianchi) , e questi a loro volta, devono infischiarsi dei profitti delle imprese.
1) Stefano Perri (Università di Macerata) “Il falso paradosso del costo del lavoro” - 03 Gennaio 2011.