La Cina è un paese enorme, un paese che ha le dimensioni di un continente, un paese con grandissime differenze interne ma unito sempre più dalle logiche e dalle contraddizioni capitalistiche. Il modo di produzione borghese ormai ha raggiunto tutto il globo, e la Cina è diventata l'emblema di questo sviluppo. Nell'ultimo forum economico di Davos che riunisce il gotha della finanza e dell'economia mondiale, l'assoluto protagonista è stato il presidente della Repubblica Popolare, Xi Jinping, a testimonianza di quanto il ruolo della Cina sui mercati internazionali sia cresciuto.
In qualche decennio, la Cina ha conosciuto tassi di proletarizzazione che, per intensità e dimensioni, non trovano precedenti storici. Milioni di contadini si sono trasferiti dalle province più arretrate per andare a lavorare nelle industrie dislocate nella parte più dinamica del Paese situata perlopiù lungo la costa orientale. Le principali imprese del mondo si sono avvantaggiate dallo sviluppo cinese, hanno investito capitali e delocalizzato in questo dinamico, emergente e gigantesco mercato. Hanno sfruttato senza ritegno, insieme alla borghesia locale, la forza lavoro autoctona.
La crescita economica della Cina è diventata una realtà grazie alla fatica, al sudore e, in non rari casi, al sangue dei lavoratori. Innumerevoli e frequenti sono le notizie di incidenti in cantieri, miniere, fabbriche che causano la morte di proletari costretti a svolgere la propria professione in condizioni spesso altamente insicure.
Il China Labour Bulletin, organizzazione non governativa con sede ad Hong Kong, denuncia il numero crescente di dipendenti che decidono di suicidarsi perché vedono negati i loro diritti e non pagati gli stipendi arretrati.
Ai problemi legati all'insicurezza, alla precarietà, all'elevato livello di sfruttamento si aggiungono le grosse difficoltà che i proletari devono spesso affrontare per conciliare lavoro e vita familiare. Molti lavoratori, costretti ad emigrare in province lontane, non possono portare con sé la propria famiglia perché il sistema di gestione dei flussi migratori interni, il cosiddetto sistema hukou, nega diritti scolastici, sanitari e assistenziali ai non residenti. I figli dei migranti quindi non hanno gli stessi diritti dei figli dei lavoratori che sono nati in quella provincia. Si preferisce spesso lasciare i figli nella regione di origine insieme ai nonni, e di conseguenza molti bambini, adolescenti o ragazzi vivono come se fossero degli orfani. Si calcola che ci siano circa 61 milioni di bambini o ragazzi che nelle campagne della Cina vivono semi-abbandonati perché i genitori sono costretti a lavorare, a basso costo, nelle fabbriche di qualche zona lontana del Paese.
Ma anche in Cina la classe operaia si organizza, combatte e si difende. Negli ultimi mesi sono cresciute le proteste, le agitazioni e gli scioperi del proletariato cinese, anche contro quei grandi marchi stranieri che producono, sfruttando la forza lavoro asiatica, merci che vengono vendute in tutto il mondo. I dipendenti della Coca Cola degli stabilimenti di Chongqing, Chengdu e della provincia del Jilin nel Nord-Est del Paese hanno scioperato contro la decisione della multinazionale statunitense di vendere le unità di imbottigliamento alla conglomerata di Hong Kong Swire Pacific e al gigante cinese Cofco. Nel solo stabilimento di Chengdu hanno incrociato le braccia circa seicento lavoratori. I timori principali sono gli esuberi e i ridimensionamenti dei salari.
A Canton hanno scioperato i lavoratori dell'impianto, che conta circa quattromila dipendenti, che produce fotocamere per i cellulari della Sony, dopo l'annuncio di vendita al gruppo di Shenzhen, O-Film Tech. A dicembre, i lavoratori di una fabbrica elettronica di Dongguan (nel Sud-Est del Paese), la cui proprietà è di Hong Kong, dopo più di un anno di lotta, un anno che ha visto il verificarsi di episodi di violenza con scioperanti picchiati o arrestati dalla polizia, hanno ottenuto il pagamento dei salari arretrati non corrisposti. Anche in Cina la classe operaia più contare solo sulla propria forza.
P.Rosmar