L’attentato di Manchester e l’ipocrisia dell’imperialismo

Il 22 maggio, la sera, alla Manchester Arena è appena finito il concerto della popstar Ariana Grande, sono da poco passate le undici e mezza. L’esplosione della bomba islamista uccide 22 persone, quasi tutti giovanissimi perché Ariana è seguita soprattutto dagli adolescenti. Le agenzie riportano l’età della vittima più giovane: otto anni! I feriti sono 120. Mentre si rincorrono, come sempre in questi casi, falsi allarmi e false piste, la premier britannica, Teresa May, dice in conferenza stampa che un altro attentato è altamente probabile.

È un attentato, quello della Manchester Arena, che suscita particolare ribrezzo perché ha avuto come obiettivo ragazzi e bambini. Ma c’era una logica in chi lo ha programmato? C’era un rapporto con il viaggio di Trump, prima in Arabia Saudita, poi in Israele, poi ancora a Roma, a Bruxelles per il vertice Nato, per finire a Taormina con il G7? Quello che è certo è che le stragi di innocenti si sono ormai allargate al mondo occidentale e costituiscono una delle carte che vengono giocate nelle “relazioni internazionali”. I terroristi dell’Isis, o Daesh che dir si voglia, sono quanto di più disumano si possa immaginare, ma la loro storia e il loro impiego nei rapporti tra potenze per assicurarsi la massima sfera d’influenza in Medio Oriente, portano a collegamenti imbarazzanti con governi “rispettabili” come quello turco, pilastro della Nato nell’Europa sud-orientale, o come l’Arabia Saudita, alla quale Trump ha rinnovato la storica amicizia con Washington. Proprio quell’Arabia Saudita che lo stesso presidente miliardario, nel corso della sua campagna elettorale, aveva indicato come maggiore finanziatrice e base logistica dell’Isis. Un giorno prima della bomba di Manchester, Trump assicurava all’industria americana degli armamenti un contratto da 110 miliardi di dollari con la monarchia saudita, con l’obiettivo di arrivare a 350 in dieci anni. Non si sa se una parte di queste armi saranno girate ai tagliagole del “califfato”(Isis), che probabilmente non sono stati definitivamente sconfitti sul piano militare in Siria per non lasciare completamente campo libero ad Assad e al suo alleato russo. Ma, come si poteva leggere su Famiglia Cristiana, serviranno al monarca arabo, Re Salman “per continuare a bombardare scuole e mercati nello Yemen”. Qui i morti sono già 16mila, di cui 10mila civili. Una strage a cui dà il suo “piccolo” contributo anche l’industria della morte italiana, con vendite che nel 2015 sono state di “soli” 260 milioni di dollari.

Unirsi al coro delle esecrazioni e delle condanne per gli attentati islamisti non costa niente. Ma quello che si può dire per le guerre si può dire anche per il terrorismo: la lotta per la pace, la lotta contro le formazioni terroristiche, è una frase priva di senso se non è anche lotta contro il capitalismo che le nutre e le riproduce in continuazione.

R.Corsini