L’altoforno riparte nell’incertezza

Si ricomincia a produrre alle Acciaierie Lucchini e alla Magona, dopo un mese di agosto segnato da una lunga pausa, con la messa in stand by anche dell’altoforno. Ma le prospettive, che a inizio estate erano incerte, non sono più chiare ora.


Fermarsi ad agosto non è una consuetudine per le fabbriche piombinesi. In un processo produttivo a ciclo continuo come quello dell’acciaio, non si chiuderebbe né in agosto né nei giorni di festa, se non fosse per la crisi che da tempo attraversa tutte le fabbriche del comprensorio. Dalla fine di luglio invece gli impianti si sono fermati, e gli operai messi in ferie quando possibile, o altrimenti in cassa integrazione. Anche l’altoforno delle acciaierie ha interrotto la produzione di ghisa, nonostante i rischi che comporta il parziale spegnimento. Ora riparte, salvo problemi, ma le previsioni di nuove commesse si fermano a dicembre.

Proprio all’inizio dell’estate si era aggravata la situazione alla Magona, per la carenza di ordini e il progressivo disimpegno manifestato dalla Arcelor Mittal, la multinazionale che al momento gestisce gli impianti. La Magona produce laminati piani e lamiera zincata per l’edilizia e la costruzione di capannoni industriali, ma anche per altri usi, come la produzione di elettrodomestici e imballaggi. Tutte queste produzioni sono in crisi, con l’edilizia quasi ferma, pochi nuovi capannoni e il calo del mercato; ma soprattutto con la proprietà che guarda ad altri mercati. Arcelor Mittal è leader mondiale nella produzione dell’acciaio, che in Italia ha stabilimenti anche in Lombardia, in Piemonte, in Veneto, e anche in Campania, ma opera dovunque nel mondo. Perdere una piccola quota di mercato in Italia non ha molta importanza per un colosso simile, che ha già dimesso inaspettatamente per logiche speculative svariati siti produttivi. Tanto è vero che anche la fabbrica piombinese lavora da tempo al di sotto delle sue capacità produttive, con fermate periodiche più o meno lunghe, turni ridotti e cassa integrazione, nonostante impianti tecnologici all’avanguardia e linee di produzione nuovissime. In tre anni la fabbrica ha perso 200 dipendenti, e oggi ne impiega 550, di cui 270 con contratto cosiddetto “di solidarietà”, con orario e salario ridotti, per evitare la soppressione di altri 46 posti considerati in esubero.

Non molto diversa la situazione alla Lucchini, ormai finita sostanzialmente in mano a un gruppo di Banche creditrici dell’ex proprietà del russo Mordashov, perennemente in crisi finanziaria e con una produzione ferma a 1,3 –1,5 milioni di tonnellate l’anno di prodotto, con una capacità produttiva che sarebbe di 2 milioni. Ancora ai primi di agosto la stampa riportava notizie di un ulteriore piano finanziario, con aumento di capitale e tagli dei costi – difficile non pensare a nuovi tagli di personale.

A giugno si era temuto che la fermata di agosto si trasformasse – in particolare per la Magona - in uno stop a tempo indeterminato, e c’era stato un primo sciopero della sola Magona, seguito il 27 luglio da uno sciopero generale lungamente preparato ed esteso a tutte le fabbriche del comprensorio, indotto compreso, ma limitato a un blocco di tre ore soltanto. Nonostante tutto, nonostante non fossero state coinvolte le altre categorie, la manifestazione è sostanzialmente riuscita, la partecipazione dei lavoratori è stata generale e convinta. Il clima che si respirava, comunque, era quello di chi vive alla giornata, nell’incertezza più totale sul futuro – anche sul futuro immediato – e di poca fiducia sulla possibilità di difendersi con le proprie forze. Molto dipende dalla scarsità di prospettive che vengono proposte da politici e sindacati locali, a corto di iniziative e tutte rivolte a vagheggiare un cambio di proprietà, sul quale i lavoratori ovviamente non possono influire, o un intervento del Governo, realisticamente poco probabile.

In un territorio che – come ha ricordato anche il sindaco dal palco del comizio a fine corteo – conta tre multinazionali in un migliaio di ettari, con una lunghissima storia e una solida esperienza di lotte operaie, la voce dei lavoratori non può restare assente o passiva.

Corrispondenza Piombino