La vittoria del No nel referendum dello scorso 4 dicembre non ha sconvolto il quadro politico. È vero che gli elettori hanno votato più per dire la loro su Renzi e il suo governo che per approvare o disapprovare una riforma costituzionale, è vero che, con una partecipazione al voto che ha sorpreso, l’elettorato ha largamente bocciato l’operato del governo, ma quali sono state le conseguenze? Renzi se n’è andato, spiazzando, con una conferenza stampa, mandata in onda quando lo scrutinio dei voti non era ancora finito, tutti i suoi oppositori. Ma il governo Gentiloni è una fotocopia del suo. Addirittura ne fa parte la Boschi, quella che ha dato il suo nome alla riforma bocciata dagli elettori. Il segnale è chiaro: Renzi non ha nessuna intenzione di tornare a vita privata.
Tutti, dicono di volere al più presto le elezioni, ma non si sa bene con quale legge elettorale. Il fronte del No è diviso e impegnato in una lotta di ciascuno contro tutti per tentare di accreditarsi la vittoria e tradurla in voti e posti di governo. Ma è più che dubbio che la Lega, Forza Italia e perfino i Cinque stelle beneficino del risultato referendario. Il problema del PD è se riuscirà a rimanere tutto intero nei prossimi mesi. Per Renzi, invece, il problema è se riuscirà a mantenere il controllo del partito, cominciando dai suoi fedelissimi. Nel frattempo la vicenda delle amministrazioni comunali di Roma e di Milano, ognuna a suo modo tenuta sotto scacco dalle inchieste delle procure, complica ulteriormente il quadro.
Lontane o vicine che siano le prossime elezioni, ogni partito sta cercando gli argomenti più adatti a catturare il consenso della massa degli elettori. Dalla vittoria del No cercano tutti di ricavare delle indicazioni a questo riguardo. Il No è stato maggioritario, dicono tutti gli istituti specializzati, nelle zone più povere del paese e negli strati sociali più colpiti dalla crisi. Nelle grandi città i quartieri popolari hanno votato prevalentemente No e i centri storici e residenziali hanno votato a maggioranza Sì. Questo mette in particolare difficoltà i partiti come il PD e Forza Italia che si presentano, ognuno a proprio modo, come partiti dell’ordine e della stabilità borghese. La loro propaganda e le loro dichiarazioni politiche devono fare slalom e salti mortali per cercare di catturare il consenso tanto dei disoccupati di lungo periodo o dei giovani precari, quanto quello degli industrialotti, dei commercianti affermati, dei dirigenti pubblici o dei professionisti di mezza età.
Naturalmente, questo è un lato della medaglia. L’altro è dato dalla capacità di partiti, correnti e leader di sostenere e facilitare gli obiettivi dei grandi gruppi economici che sono i veri detentori del potere. E qui c’è tutto un lavorìo invisibile, che si svolge al riparo dagli occhi dell’opinione pubblica, nel corso del quale probabilmente stanno già prendendo corpo nuove formule di governo. Sul supplemento economico del Corriere della sera di lunedì 19 dicembre, firmato da Daniele Manca, si leggeva: “La filiera industriale creata dai grandi agglomerati è quella che alimenta il tessuto del nostro Paese fatto di piccole e medie imprese. Un terzo di esse è alimentato dalle commesse di soli sei gruppi a capitale pubblico: Eni, Enel, Fs, Finmeccanica, Fincantieri e Poste”. Se ai gruppi del capitalismo di stato aggiungiamo le principali banche e i grandi gruppi privati, abbiamo una ventina di “grandi agglomerati” che “alimenta” probabilmente più della metà delle piccole e medie imprese. Questa è la vera piramide del potere e questo è il modo attraverso il quale, sul terreno dei rapporti economici, si salda l’alleanza tra grandi gruppi e piccoli e medi industriali.
Il problema di fare in modo che i governi, nella loro politica concreta, rispecchino gli interessi del vertice della piramide capitalista, compreso il sostegno politico da parte della massa dei piccoli imprenditori, è un problema loro. Il nostro, come lavoratori, come classe sociale contro la quale si scatenano da anni gli attacchi più duri alle condizioni di vita, è resistere alle continue pretese dei rappresentanti del capitale che stanno allargando ogni giorno il numero dei poveri. Da questo punto di vista, il referendum non ha risolto nulla e, anzi, ha aggiunto ostacoli e detriti sul difficile cammino che dovrà portare alla costituzione di un partito operaio risolutamente antagonista del capitalismo e di tutti i suoi travestimenti politici e istituzionali. Oggi si tratta di lottare per non indietreggiare ancora, domani si tratterà di rovesciare la piramide.