La strana privatizzazione della società Tirrenia

Mentre le cronache politiche d’inizio estate ci mostravano una dura contrapposizione tra "governatori" di ogni colore e governo centrale sui tagli dei trasferimenti alle regioni previste dalla legge finanziaria di Tremonti, accadeva, quasi in sordina, una cosa a dir poco strana. La Regione Sicilia si proponeva come capo-cordata per l’acquisizione della società di navigazione Tirrenia.

Palermo, che tutti sappiamo in lotta con cumuli di rifiuti urbani, Palermo la cui amministrazione non trova i soldi per pagare i suoi netturbini, dovrà tornare ad essere, secondo le parole orgogliosamente pronunciate dal presidente Raffaele Lombardo, "la storica sede della prestigiosa e antica compagnia fondata dalla famiglia Florio".

La società Florio fu una di quelle grandi imprese le cui partecipazioni azionarie di maggioranza furono acquistate dall’IRI negli anni ’30. L’IRI fu costituita nel 1933 per salvare le maggiori banche italiane, gravemente esposte verso i grandi gruppi industriali che la crisi iniziata a Wall Street nel 1929 stava mettendo in ginocchio. Nel dopo-guerra l’IRI ebbe ancora un ruolo di primo piano nella ricostruzione dell’apparato industriale e concorse al "boom" capitalistico degli anni ’60. Poi, seguendo la sorte delle varie forme di holding o di gruppi monopolistici di stato presenti in molti altri paesi, fu travolta dall’ondata di privatizzazioni che iniziò in tutto il mondo con il finire degli anni’70. Nel 2000 l’IRI fu liquidata e nel 2002 fu fondata la Fintecna, società per azioni il cui unico azionista è il ministero del Tesoro e che ha lo scopo di vendere ciò che è rimasto del vecchio impero economico statale.

Della privatizzazione di Tirrenia, la più grande compagnia di navigazione italiana, ultimo grande spezzone di questo impero che non sia stato ancora svenduto, si parla da più di vent’anni. Nel frattempo, lo spettro della privatizzazione è servito per peggiorare notevolmente le condizioni del personale imbarcato che, tra le altre cose, ha subito una riduzione degli organici dell’ordine del 62% tra il 1989 e il 2008.

La cordata che dovrebbe subentrare a Fintecna, e che ha preso il nome di Mediterranea Holding, è costituita, oltre che dalla regione Sicilia, con il 37% delle azioni, dall’armatore napoletano di origine greche Alexis Tomasos con il 30,5%. Altri grandi azionisti, i cui nomi sono stati resi noti dalla stampa, sono l’armatore napoletano ed ex-senatore di Forza Italia Salvatore Lauro, con il 18,5% di quote, la società Isolemar con l’8% e, con il 3% ciascuno, l’ex-presidente della Confitarma (la Confindustria degli armatori), Nicola Coccia e la famiglia Busi che produce e imbottiglia la Coca-cola in Sicilia.

Questa insolita "privatizzazione", che vede un ente pubblico come la Regione Sicilia divenire il principale azionista della compagnia di navigazione che garantisce il maggiore numero di collegamenti tra porti e isole italiane, oltre che con Tunisi e Durazzo, sembra avere tutte le carte in regola per un nuovo ciclo di malversazioni, di corruzione e di scandali. Niente è chiaro, a cominciare dal fatto che l’unica offerta per l’acquisizione della Tirrenia sia quella della Mediterranea Holding. Quello che invece è abbastanza chiaro è che una giunta regionale "amica" (anche se a modo suo) del partito di governo sta per diventare la proprietaria di fatto di un semi-monopolio.

Un’altra cosa sembra sempre più chiara: le ambizioni imprenditoriali di Lombardo e il business che gli armatori privati vogliono trovare in questa avventura dovranno essere pagati dai lavoratori. Si parla di 540 esuberi, cioè del 30% della forza-lavoro.

Il sindacato dei comandanti e dei direttori di macchina ha minacciato "scioperi che non tengano conto della regolamentazione perché mettere in discussione la sopravvivenza economica di 540 famiglie è un fatto straordinario che merita risposte adeguate". Dello stesso tenore le dichiarazioni e i comunicati stampa della Uil-Trasporti. Se ci sarà bisogno di lottare è certo che non si potrà farlo rispettando un codice assurdo che penalizza solo i lavoratori. Ma, se i dirigenti sindacali non si ricorderanno delle loro stesse parole, dovranno esser i marittimi della Tirrena a metterle in pratica direttamente.