Lo stato sociale fa acqua, saltano i presidi sanitari, tornano malattie scomparse. Malgrado ciò, il sistema sanitario è tutt’altro che la priorità nei progetti di spesa dei Governi, europei e non. Non è difficile immaginare cosa potrebbe succedere nei prossimi anni.
A dimostrazione che niente, ma proprio niente, nell’epoca del capitalismo è conquistato una volta per tutte, sembra davvero che oggi e negli anni a venire avremo di fronte – fra le tante – anche l’emergenza di malattie che sembravano ormai debellate, almeno nell’Occidente.
Al posto dell’illusorio “ benessere”, inteso proprio come salute fisica, che gli anni dello sviluppo e dell’espansione economica sembravano averci assicurato nel secondo dopoguerra, la crisi ci annuncia che batteri, virus, pulci infette, zanzare letali e pidocchi, in realtà non erano mai scomparsi, e sono pronti a riprendersi gli spazi che la sanità pubblica e lo stato sociale avevano sottratto al loro territorio.
Non è difficile immaginarlo, anche intuitivamente. Dove si ritenga che ingrassare banche e sistema capitalistico sia virtuoso, e alimentare il sistema sanitario sia una spesa parassitaria, non si può ignorare il corollario susseguente: al netto degli sprechi e delle ruberie operate dai politici e dai managers di turno, spendere in sanità significa assicurare la salute pubblica, tagliare – e tagliare quando già la disoccupazione e i bassi salari rendono difficile curarsi – significa aprire le porte alle malattie. Un articolo recente apparso su La Stampa cita il celebre testo del batteriologo americano Hans Zinnser, uscito non a caso negli anni trenta, che - riferendosi proprio alle infezioni che hanno afflitto l’umanità in tutto il corso della sua storia - avverte come queste siano “sempre in agguato nell’ombra, per ripiombare sulla preda quando negligenza, povertà, fame o guerra abbassano le difese”.
Zinnser sapeva di sicuro quello che diceva, perché ne scriveva con straordinaria lucidità mentre stava accadendo, e la sua comprensione del processo in corso, per quanto non sempre condivisa dai contemporanei, era esatta.
Studi successivi sugli effetti della crisi recessiva del 1929 hanno dimostrato che, in alcuni Paesi, essa aveva avuto effetti letteralmente letali: peggioramento delle condizioni generali di salute, collegato alla mancanza di mezzi per potersi curare e a un’alimentazione insufficiente o povera di proteine; miseria, marginalità e depressione che alimentarono l’alcoolismo; incremento del tasso di mortalità.
Quello che succederà nei prossimi vent’anni non siamo in grado di prevederlo. Certo è che in Grecia già oggi è ricomparsa la malaria, che era stata dichiarata ufficialmente eliminata nel 1974, e si sono registrati casi di dengue anche in alcune Regioni italiane. Ma - senza chiamare in causa le epidemie infettive - anche le malattie di altra origine, o le malattie fisiologiche della vecchiaia, rischiano di non poter essere più curate con la necessaria efficacia.
Secondo uno studio recente della Cgil, in Italia il 30 % degli anziani rinuncia a comprare le medicine e a curarsi, spesso anche a comprare alimenti di prima necessità, per aiutare figli o nipoti in difficoltà economiche. I tagli alla sanità pubblica in corso dal 2010, e previsti da qui al 2015, ammontano a 34 miliardi, il che significa aumento dei ticket, allungamento dei tempi di attesa prima di ricevere diagnosi e cura, distanza dalle strutture ospedaliere in grado di erogare i servizi di base. Stando ai dati pubblicati il 13 dicembre scorso su Repubblica, questo ha costretto molti ammalati a un maggior ricorso alle strutture private, salito dal 5,6% del 2005 al 18% del 2011. Un maggior ricorso da parte di chi può permetterselo: se questo è il dato, è facile comprendere che per molti malati l’alternativa alla sanità pubblica consiste soltanto nel non curarsi. Nel 2011, oltre 9 milioni di persone hanno dichiarato di non aver potuto accedere a una o più prestazioni sanitarie “per ragioni economiche ed organizzative”.
Il quasi ex capo del Governo in carica ha recentemente sentenziato che sarà necessario “arrangiarsi”; qualcun altro invita a “razionalizzare” la spesa. Ma la spesa per il sistema sanitario in Italia è in linea con la media europea, anzi – a parità di potere d’acquisto – è più bassa della media europea, e molto più bassa che in Germania, in Francia o nel Regno Unito, anche se non disponiamo di dati più precisi sugli eventuali tagli in questi Paesi.
Malgrado ciò, ai tagli non si vedono alternative. Ma non è la spesa sanitaria ad essere un peso da alleggerire: un peso è il sistema capitalistico che l’umanità non riesce più a sostenere.