Per avere un’idea più chiara della situazione attuale, bisogna dare un’occhiata alle cifre. Se si ha la pazienza di leggerle, dicono molte cose.
Se nel 2010 ci sono stati accenni a una ripresa economica, non sono stati i ceti popolari o la classe operaia a beneficiarne. Il ritmo della ripresa rimane comunque, anche a detta della stampa borghese, "moderato": sia per quest’anno che per il prossimo la crescita del PIL è prevista intorno a un asfittico 1%, secondo il Bollettino economico della Banca d’Italia, il che – sempre secondo la stessa fonte – non consentirà il recupero dell’occupazione. A fine 2012 il prodotto interno lordo dovrebbe aver recuperato a malapena la metà delle perdite subite nel biennio 2008-2009 di piena recessione. Naturalmente, anche secondo Bankitalia, le conseguenze più gravi sono sui salari e sull’occupazione, e non ci sono schiarite all’orizzonte.
Disoccupazione
A ottobre 2010 il rapporto ISTAT stimava all’8,7% il tasso di disoccupazione, in crescita dall’8,4% precedente anche dopo il periodo luglio-settembre, che in genere segnala una riduzione di chi non trova lavoro. La rilevazione dell’ultimo trimestre 2010 registrava un lieve calo all’8,2%, ma in ogni caso la cifra totale delle persone senza lavoro raggiunge e supera i due milioni, la metà dei quali cercano lavoro da più di un anno. Anche se si tratta del dato più alto dal gennaio 2004, il Ministro del Lavoro Sacconi non ha mancato di negare l’evidenza, vantando per giunta gli ipotetici progressi compiuti dall’Unità operativa per l’occupazione giovanile, che in realtà rispetto alla disoccupazione generale ha dati ancora più allarmanti. I senza lavoro fra i giovani erano a quota 24,7% nell’ultimo trimestre 2010, in aumento dell’1,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e vicino al 28% in ottobre. A marzo è ormai chiaro che il tasso di disoccupazione giovanile è al 29%, e sfiora il 30%. Anche secondo le stime di Bankitalia, le prospettive dei giovani non promettono niente di meglio del passato; le cose continueranno ad andare male soprattutto per chi è in cerca del primo posto di lavoro, e c’è il rischio che molti giovani finiscano tra gli "scoraggiati", come vengono definiti in gergo giornalistico quelli che il lavoro non lo cercano neanche più, e che nelle percentuali vanno a incrementare, sempre secondo la Banca d’Italia, fino all’11% il tasso di disoccupazione. Secondo l’ISTAT, i giovani che non studiano e non lavorano sono poco più di 2.000.000, il 21,2% tra i 15 e i 29 anni, un primato – il meno augurabile - in Europa.
Il dato reale sulla disoccupazione è quindi verosimilmente diverso e più alto del dato ufficiale. Fra i disoccupati in aumento di ottobre figuravano sicuramente i precari espulsi dall’insegnamento all’inizio dell’anno scolastico, e dal 1 gennaio 2011 fino alla fine di quest’anno vi si aggiungeranno i precari del pubblico impiego a cui non verrà rinnovato il contratto. Infatti, oltre a bloccare fino al 2013 il rinnovo dei contratti e le retribuzioni dei lavoratori pubblici, la manovra finanziaria varata nell’estate 2010 prevede "di avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni (…) nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nel 2009". Il che significa, secondo i calcoli della Funzione Pubblica Cgil, 75-80.000 precari a casa nel 2011, molti dei quali erano al lavoro da anni.
Precariato
Non c’è lavoro, e se c’è è precario. Nel biennio 2009-2010, oltre il 76% delle assunzioni è stato fatto con contratti a termine. Dei 14, 3 milioni di nuovi rapporti di lavoro, 11 milioni sono precari: il 66,3 % sono contratti a termine, l’8,6% contratti a progetto, il 3,1% contratti di apprendistato (L’Unità, 30.3.11). I contratti a tempo indeterminato sono un dato residuale.
Cassa integrazione
Non sono ancora stati pubblicati dati definitivi sulla cassa integrazione nel 2010, a parte la considerazione generale che rispetto al 2008, ultimo anno prima della crisi, il totale delle ore di cassa integrazione autorizzate è impressionante: l’aumento supera il 400%. Secondo uno studio del Dipartimento Settori produttivi della Cgil, che ha elaborato dati INPS, nei primi sette mesi dell’anno i cassintegrati a zero ore erano 650.000, molti collegati a fabbriche per cui la ripresa potrebbe non arrivare mai. Molte aziende non riaprono dopo le 52 settimane della cassa integrazione ordinaria; malgrado la proroga a tutto il 2011 della cassa integrazione in deroga, in un tempo relativamente breve saranno sempre di più i lavoratori disoccupati senza coperture.
Redditi
L’incertezza nel futuro e il crollo dei redditi per cassa integrazione e disoccupazione contrae brutalmente il tenore di vita di chi vive solo del suo lavoro. Una famiglia su tre è in condizioni così difficili che non riuscirebbe a sostenere una spesa imprevista di valore limitato a 750 euro. Secondo una ricerca pubblicata dall’Istat a fine 2010, ma con dati riferiti al 2009, più del 30% delle famiglie vive in un’emergenza continua, e aumentano quelle indebitate per motivi diversi dal mutuo per la casa, che sarebbero passate dal 14,8 al 16,5%. Molte delle famiglie indebitate non riescono a restituire le rate di questi debiti (la percentuale in aumento delle famiglie insolventi va dal 10,5 al 12,4%) e crescono anche quelle che almeno una volta nel corso dell’anno non hanno avuto soldi per acquistare cibo (dal 4,4 al 5,3%). Il 60% delle famiglie ha cambiato la tipologia degli acquisti alimentari, scegliendo nel 35% dei casi prodotti di qualità inferiore, rincorrendo sconti e promozioni, acquistando nei supermercati hard discount. La spesa delle famiglie in generale è in caduta libera, e registra una diminuzione anche nei generi di consumo di prima necessità, compresi appunto gli alimentari. Nelle grandi città il 60% delle famiglie non ce la fa a sostenere il costo degli affitti, e ha difficoltà ad accedere ai mutui per l’acquisto - ammesso che se lo possa permettere - perché le banche gestiscono i finanziamenti con criteri sempre più selettivi, contrazione degli importi erogati e della durata media dei mutui. Aumenta la quota delle famiglie definibili come "povere": in totale i poveri – considerati tali in base a un parametro di 983 euro al mese per un nucleo di due persone – sarebbero 8.370.000. Anche disponendo di un reddito, sempre più famiglie sono povere. Secondo la classifica dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che riunisce i 33 Paesi più industrializzati, il nostro Paese continua a rimanere - a parità di potere d’acquisto - fra quelli a più basso salario: gli ultimi dati pubblicati lo davano stabilmente al 23° posto, dopo Grecia, Irlanda e Spagna. Resta da vedere se, dopo gli ultimi sviluppi della crisi, il crollo della Grecia e le gravi difficoltà di Irlanda e Spagna, i rapporti relativi siano rimasti gli stessi; ma anche ipotizzando una diversa classifica relativa, non per questo i salari italiani sono cresciuti. La contrazione dei redditi nel 2009 è stata del 2,8%, la più alta dagli anni ’90. Dati aggiornati al 2010 per ora non ce ne sono, ma dato l’incremento di disoccupazione e cassa integrazione è improbabile che siano migliori.
Una considerazione può apparire superflua, ma va comunque sottolineata: né operai né semplici impiegati o insegnanti possono comparire nel numero delle famiglie che da sole detengono circa il 45% della ricchezza nazionale: si tratta del 10% delle famiglie più abbienti, mentre al 50% delle famiglie, quelle più povere, deve bastare meno del 10% della ricchezza totale. Il restante 40% delle famiglie ha un reddito medio, pari a circa il 45% della ricchezza.
Con la scusa della crisi
Nel corso dell’ultimo anno la crisi ha fatto da pretesto o da puntello – a seconda delle situazioni - perché Governo e Confindustria argomentassero una serie di buone ragioni per inasprire le condizioni generali della classe lavoratrice. In pochi mesi abbiamo assistito a una serie di attacchi, precisi e molto pesanti. Abbiamo avuto l’ennesima, e sicuramente non l’ultima, riforma delle pensioni, che posticipa il diritto a percepire l’assegno di pensione a un anno dopo il raggiungimento dei requisiti; per le donne che lavorano nel Pubblico Impiego e non hanno raggiunto i 40 anni di anzianità, il diritto alla pensione passa da 60 a 65 anni. Il collegato lavoro ha modificato il contenzioso tra lavoratori e impresa, indebolendo per i lavoratori la possibilità di difendersi anche in caso di gravi abusi, e consegnando il giudizio dal Giudice all’arbitrato privato. Per tutti i lavoratori del Pubblico Impiego i contratti sono bloccati fino al 2013, mentre Federmeccanica ha disdetto unilateralmente il contratto dei lavoratori metalmeccanici siglato nel 2008. All’industria meccanica delle auto sono poi arrivati gli attacchi più pesanti, con gli accordi firmati da Cisl, Uil, Ugl a Pomigliano e Mirafiori.
Oggi va molto di moda lo slogan "Se non ora, quando?" Con un quadro del genere, l’organizzazione immediata della lotta contro la distruzione delle proprie condizioni dovrebbe essere la priorità per tutti i lavoratori. Appunto, se non ora, quando?