La “pace” imperialista non è molto meglio della guerra

Trump ha prospettato una spartizione dell’Ucraina in esclusivo accordo con Putin. Il presidente miliardario ha messo in scena uno dei tanti rimescolamenti di posizione che nella storia precedono altre ondate di guerre. I nemici di ieri diventano, se non gli amici, gli “interlocutori” di oggi. Le formule cambiano radicalmente e Zelensky da eroico capo di una nazione aggredita diventa un “dittatore mai eletto e un comico mediocre” che ha ottenuto centinaia di miliardi di dollari dagli Stati Uniti “per una guerra che non avrebbe mai vinto”. Quanto all’Unione Europea, “non ha combinato niente in questi tre anni di guerra”.

I dirigenti europei, nel loro complesso, sono effettivamente dei personaggi mediocri, pescecani di media taglia che hanno finito per credere alle idiozie che loro stessi raccontavano, per giustificare la loro subalternità al pescecane più grosso. E ora sono completamente disorientati. Eppure, il presidente degli Stati Uniti non ha fatto altro che accelerare i tempi di un esito che era già nelle cose. Ha lasciato al loro destino tanto gli Stati europei che Zelensky, accompagnando questo “sganciamento” con il linguaggio arrogante e provocatorio del “cattivo” dei film western, oltretutto pretendendo dall’Ucraina, come risarcimento una quota consistente delle “terre rare” di cui è ricco il sottosuolo di quel paese. Ma, sia pure, con un linguaggio e con modi più “gentili” così doveva finire la guerra russo-ucraina. L’alternativa sarebbe stata una guerra mondiale.

Che cosa faranno ora i governi europei? Non hanno, per loro stessa ammissione, la forza militare per aiutare veramente l’Ucraina contro la Russia. In realtà non potrebbero nemmeno difendere se stessi. Rimangono solo le chiacchiere, l’indignazione, le proteste contro il voltafaccia americano. Aria fritta.

Se anche si mettessero d’accordo e riuscissero a mettere insieme il famoso “esercito europeo” di cui si sente parlare da decenni, ci vorrebbero, secondo tutti gli esperti di faccende militari, almeno dieci o quindici anni perché venisse fuori qualcosa di decente.

Ma la cosa su cui è importante riflettere è la fine ingloriosa di tutto l’arsenale di falsità e inganni, impiegato dai governi dell’Unione Europea e dall’amministrazione americana sotto Biden, che ora sembra sciogliersi come neve al sole, producendo una slavina che investe in primo luogo l’esercito di giornalisti, opinionisti e diplomatici che ora si ritrovano senza uno dei pilastri della loro rappresentazione dei rapporti internazionali. Ricordate? “Da una parte stanno le democrazie, dall’altra stanno le autocrazie”. La sostanza vera delle relazioni internazionali, quella dei rapporti di forza, era nascosta da questa cortina fumogena di retorica infantile che i popoli avrebbero dovuto bersi passivamente.

Che cosa raccontare loro adesso? Mentre scriviamo, la Meloni non si è ancora fatta sentire e i commenti del ministro degli esteri Tajani sono improntati alla massima prudenza, mentre Salvini si è buttato a capofitto nel ruolo di più trumpiano di Trump, momentaneamente vacante. Il negoziato con la Russia, che gli opinionisti italiani, i vari Gramellini, Severgnini, Mieli, ecc. presentavano, nel migliore dei casi, come un sogno da ingenui pacifisti e il più delle volte come espressione dei “putiniani d’Italia”, è già diventato una realtà, imposta da uno che non è né pacifista, né ingenuo. Ora un nuovo racconto sta prendendo forma: se la Russia ha accettato di negoziare è anche grazie agli aiuti e alle armi che l’Europa ha inviato all’Ucraina. Quindi al tavolo ci deve essere un posto anche per gli europei, sperando che cada qualche briciola. Ma è più un’esortazione che una pretesa.

La rappresentazione del governo italiano come “ponte” tra Stati Uniti ed Europa ha funzionato fino a poche settimane fa. Ora questo ponte sembra meno reale di quello che Salvini vorrebbe costruire sullo stretto di Messina. Se le cose continueranno così, è inevitabile che il governo Meloni venga investito da una crisi politica. Il predominio degli Stati Uniti, per una buona parte dell’elettorato borghese e piccolo-borghese di Fratelli d’Italia, e degli altri partiti della coalizione di governo, significa soprattutto stabilità finanziaria. L’ordine mondiale è l’ordine che consente di investire tranquillamente i propri risparmi e di riscuotere dividendi e cedole del Tesoro con la certezza di guadagnarci. Nel momento attuale, non si può essere troppo “europei” se si vuole continuare ad essere gli amici più fedeli di Washington. La Meloni e i suoi sono davanti a questo bivio. Che imbocchino una strada o imbocchino l’altra, devono essere molto convincenti con il proprio elettorato, e non basterà la solita fraseologia nazionalista e xenofoba.

La lotta mondiale delle potenze imperialiste per spartirsi il mondo, ridefinendo le rispettive sfere d’influenza, è in pieno svolgimento. Attualmente, si combattono nel mondo 56 guerre. Lo scopo di queste guerre è sempre lo stesso: allargare i propri confini e le proprie zone d’influenza o difenderli, per riempire i portafogli di grandi industriali, di banchieri, di proprietari di pozzi petroliferi o miniere, oltre che garantire il massimo tenore di vita possibile ai governanti, agli alti funzionari di Stato, ai membri degli stati maggiori degli eserciti, ai capi delle milizie, ai signori della guerra. La finanza internazionale si arricchisce su queste guerre anche attraverso le “scommesse” che lancia sul loro esito attraverso i giochi di borsa e, come l’industria degli armamenti, guadagna sia dalle sconfitte che dalle vittorie.

Questo sistema ha un nome preciso: capitalismo. Un tempo, l’abbattimento di questa macchina infernale era scritto nei programmi politici di tutti i partiti operai. Oggi, dopo decenni di sconfitte proletarie, se n’è quasi cancellata la memoria. Ma per combattere le guerre non c’è altra strada che combattere il sistema che le genera, togliendo il potere politico dalle mani di chi lo difende. La lotta per il comunismo è di nuovo all’ordine del giorno e deve trovare nella classe lavoratrice gli uomini per difenderla, propagandarla e organizzarla.