Siamo abituati a conoscere Mondo Convenienza per la capillare distribuzione di brochures esplicative che ognuno di noi si è trovato nella cassetta delle lettere magari una volta nella vita.
Ma se passiamo alla valutazione di questa società sotto il profilo economico, dobbiamo parlare di una holding di 1,2 miliardi di fatturato annuo, che supera l’Ikea, in Italia, nel comparto arredamento.
Uno sciopero, iniziato il 30 maggio nel magazzino di Campi Bisenzio (Firenze) si è poi esteso alle sedi di Roma e di Bologna. Quelli che lottano sono i dipendenti della Rl2, una ditta creata dalla stessa Mondo Convenienza per appaltare i lavori di trasporto, consegna e montaggio con la massima economia sulla pelle dei lavoratori.
Questi operai sono quasi tutti immigrati, come avviene da tempo nel settore della logistica. Chiedono l’applicazione del Contratto collettivo nazionale di lavoro della logistica, mentre i padroni di Rl2 adottano quello delle pulizie.
I lavoratori sono costretti a turni massacranti, dalle dieci alle quattordici ore giornaliere. Non esistono macchinette marcatempo e gli straordinari non sono pagati.
Come abbiamo visto altre volte, i picchetti degli scioperanti davanti ai magazzini sono stati oggetto di attacchi da parte di squadre di caporali, e poi della polizia e dei carabinieri. Da parte padronale si è fatto anche ricorso all’uso dei crumiri, dipendenti della Veneta Logistics, che è come la Rl2, una società messa su da Mondo Convenienza per appaltare il lavoro a salari più bassi.
Incalzata dagli scioperi e dall’eco che questi hanno suscitato, la Rl2 ha comunicato ai giornali che ai suoi 800 dipendenti a livello nazionale applica il contratto “multiservizi” e che, quindi, le lotte e gli scioperi non hanno alcuna base concreta, del resto, continua il comunicato della ditta, solo “una sparuta minoranza” blocca tutti gli altri. Una canzone già sentita tante volte, che serve alla direzione aziendale per imbastire la favoletta della “libertà di lavorare” che dovrebbe essere difesa dalle forze dell’ordine.
Il gruppo è già stato denunciato in passato e a Bologna, in questi giorni, si celebra il processo a cinque dirigenti, tra cui il presidente del consiglio d’amministrazione, per i reati di sfruttamento, intermediazione illecita di manodopera e caporalato. Tuttavia, ad anni di distanza dai fatti indagati dalla procura nulla è cambiato.
Il 27 giugno ha visto il fallimento del tavolo negoziale toscano, presenti Sicobas, Cgil e il consigliere regionale Fabiani. Si trattava del primo incontro istituzionale dopo un mese di sciopero. Ma l’azienda rifiuta qualsiasi percorso di regolarizzazione, perfino l’adozione di un badge per registrare le ore effettive di lavoro, e di fatto rimane al di fuori del perimetro non solo della contrattazione nazionale, ma anche della legalità.
Tutto questo ci conferma che quando un settore di classe operaia lotta sul serio, trova immediatamente la resistenza più dura del padronato, che si avvale spesso dell’appoggio delle forze dell’ordine. Di fronte all’evidente operato criminoso dei padroni, le forze di polizia intervengono col manganello per “ristabilire la legalità”, cioè per disperdere i picchetti di chi non chiede altro che il rispetto delle poche norme rimaste a tutela dei lavoratori. Anche l’uso dei crumiri fa parte di un arsenale di armi padronali che una visione superficiale dei rapporti tra lavoro e capitale davano per superati per sempre. In realtà la lotta operaia è essenzialmente sempre la stessa, come le prepotenze che i padroni vorrebbero imporre. Solo che, trattandosi di lavoratori immigrati, è più facile far credere che la loro lotta non riguardi i dipendenti più “protetti” che, forse per poco, sono la maggioranza. Ma le lotte di questi facchini, magazzinieri e trasportatori ci riguardano tutti e le manganellate che oggi colpiscono loro, domani colpiranno tutti gli altri. Per questo siamo al cento per cento al loro fianco, per motivi di giustizia sociale, certo, ma anche per le ragioni politiche di chi vede nel contrasto di classe che si sviluppa in un piccolo centro l’anticipazione di un conflitto sociale ben più largo, che dovrà essere combattuto con la stessa determinazione e la stessa generosità che stanno mostrando questi lavoratori della logistica.
R. C