Com’è noto, la cosiddetta “riforma” delle pensioni della professoressa Elsa Fornero, ministro del lavoro ai tempi del governo Monti, ha bruscamente i requisiti minimi di età per andare in pensione. Con questo, ha radicalmente peggiorato le condizioni di esistenza di milioni di lavoratori. Tra i quali i famosi “esodati”.
Nel caso dei macchinisti, dei capitreno e dei manovratori delle ferrovie, l’applicazione della Fornero prospetta una situazione in cui uomini anziani di 60, 65 o anche 67 anni, si fanno sballottare dai treni tutto il giorno, o attraversano piazzali e fasci di binari di giorno e di notte e con tutte le stagioni. La precedente soglia di 58 anni è stata spostata in avanti di 9 anni!
Si tratta di un provvedimento tanto odioso quanto assurdo che porrà con urgenza, entro qualche anno, il problema dell’idoneità alle mansioni del proprio profilo professionale a migliaia di lavoratori.
A suo tempo, per quanto riguarda l’insieme del mondo del lavoro, la risposta delle grandi confederazioni sindacali si limitò a tre ore di sciopero generale nazionale. Proprio così. È bene ricordarselo. Una legge che ha rovinato l’esistenza a milioni di persone è passata come il coltello nel burro grazie alla sostanziale complicità dei dirigenti sindacali.
Detto tutto questo, è comprensibile che i ferrovieri scioperino quando uno degli obiettivi dello sciopero è proprio l’abolizione della legge Fornero. I promotori dell’agitazione sono i sindacati di base, tra i quali il Coordinamento lavoratori auto-organizzati dei trasporti (CAT), nato di recente. Ma l’adesione dei lavoratori fino ad oggi, nei due scioperi nazionali di aprile e di luglio, è andata ben oltre l’area degli iscritti a questi sindacati. Un altro sciopero di 24 ore è previsto tra il 20 e il 21 settembre.
Ma tra gli obiettivi della mobilitazione c’è anche la lotta contro il riordino normativo, cioè il demansionamento di fatto dei capitreno e il sovraccarico di responsabilità dei macchinisti.
L’altro punto importante è l’orario di lavoro. Bisogna dire che l’ultimo Contratto nazionale ha peggiorato sensibilmente le condizioni di lavoro da questo punto di vista. L’orario settimanale di lavoro è stato elevato da 36 a 38 ore medie, mentre il limite giornaliero è stato portato a dieci ore. A questo si aggiunge, per macchinisti e capitreno, che i turni possono prevedere – e spesso va proprio così – un riposo fuori residenza di 6 ore che sono tali solo sulla carta, cioè non tengono conto degli spostamenti necessari a raggiungere l’albergo o il dormitorio oppure ne tengono conto in modo parziale. Oppure ancora non tengono di conto delle operazioni di registrazione che occorre sbrigare prima di andare nella propria camera. Così, dopo un periodo di sonno che dura al massimo cinque ore e mezzo, è possibile riprendere un turno per altre otto ore, cominciando magari alle quattro di mattina.
Il logoramento psico-fisico dovuto ai turni è diventato l’oggetto principale dei discorsi che si fanno fra colleghi di lavoro.
Proprio perché questo argomento è così sentito, non è chiara la posizione del CAT che vorrebbe affidare a una legge non meglio specificata la fissazione di nuovi limiti e nuove regole per l’orario di lavoro.
Qualsiasi legge a tutela dei lavoratori sarà veramente tale se rifletterà gli obiettivi che gli stessi lavoratori rivendicano con le proprie lotte. Allora bisogna dire chiaro e forte quello per cui si lotta e se ci sarà qualcuno che trasformerà il risultato di una lotta in una legge meglio così. Ma sperare in un processo contrario è un’illusione che somiglia molto al suicidio.
Corrispondenza ferrovieri