La loro guerra non è la nostra

Gli attentatori di Parigi hanno ottenuto sicuramente un risultato politico. Hanno alimentato ulteriormente quel clima di paura e di xenofobia nel quale si rafforzano e acquistano maggior credito tutte le correnti più reazionarie, dai neonazisti tedeschi, al partito della Le Pen fino alla Lega di Salvini. Ancora di più: hanno dato una spinta determinante ad accentuare gli aspetti reazionari della politica di tutti i governi. La politica estera delle potenze europee diviene, sempre di più, una politica fatta, con strumenti di guerra: bombardieri, ricognitori, istruttori militari, contratti di fornitura di armi. Nello stesso tempo, all’interno di ogni Paese, si invocano misure eccezionali, la chiusura delle frontiere, la restrizione delle libertà personali, una specie di stato di polizia.

Aumenta la paura e, con questa, la ricerca di protezione e di sicurezza. Così i governi di destra o di sinistra che siano, cercano di fare di questa diffusa condizione psicologica la fonte di una nuova legittimazione popolare. Ne avevano un disperato bisogno, dati i miseri risultati della loro “politica economica” che dappertutto aveva promesso di superare la crisi e finirla con la disoccupazione di massa. Tutto sommato, quindi, i criminali che hanno assassinato 132 persone a Parigi, nel nome di Allah e del Califfato, hanno reso un provvidenziale servizio ai governi in carica.

Naturalmente, nei commenti giornalistici, i morti siriani non contano niente. È istruttivo, da questo punto di vista, leggere o ascoltare la sequenza delle notizie come sono state diffuse dopo il 13 novembre. Alla strage di Parigi segue l’onda della commozione, poi la “fermezza” del presidente Hollande, poi il bombardamento a tappeto su Raqqa. Ma a Raqqa sono tutti terroristi? A nessuno è venuto nemmeno il dubbio che sotto le bombe siano finite persone altrettanto innocenti di quelle morte a Parigi. Qualcuno ha tenuto il conto di quei morti? Macchè! La notizia che passa è che Hollande ha bombardato l’Isis. Potenza e stupidità della propaganda di guerra!

Il governo italiano, da parte sua, si barcamena, aspetta un chiaro via libera degli Stati Uniti per unirsi ai bombardamenti in Siria. Questo almeno è quanto si vuol far sapere. Resta il fatto che le forze armate italiane sono da tempo impegnate, in vario modo, sia in Iraq che in Siria.

La Confindustria ha un suo punto di vista sulla faccenda. Con notevole cinismo, Squinzi, dopo aver dichiarato che gli atti del terrorismo islamista si rifletteranno negativamente sull’economia non solo in Francia e Belgio, ma anche in Italia, si dice favorevole a un pieno coinvolgimento di Putin nell’alleanza anti-Isis. Per questo vanno tolte le sanzioni economiche alla Russia, sostiene. Così la lotta al terrorismo sarà più efficace, continua il presidente della Confindustria, senza dimenticare, in questo quadro di ritrovata armonia, che “a beneficiarne per qualche miliardo di euro sarebbero anche le nostre esportazioni”.

I capitalisti sono così. Giorgio Squinzi si è solo espresso con sincerità.

L’importante è il profitto. Ed è anche questa logica che guida, in fin dei conti, la condotta dei governi. Tutto il problema della politica estera, per Renzi, per Hollande o per la Merkel, si riduce a questo: qual è il quadro migliore, il più desiderabile, al quale possiamo contribuire con le nostre forze, per far ottenere alle nostre imprese, alle nostre banche, ai nostri capitalisti, il massimo profitto? Se alla fine si stabilisse veramente il Califfato, sarebbero tutti pronti a farci affari. Quanti “sanguinari dittatori” sono stati riabilitati in questi anni? Quanti “stati-canaglia”?

Si può scommettere però che ogni singola potenza farà di tutto per non lasciare, non solo all’Isis, ma anche alle altre potenze “alleate” la possibilità di controllare degli importanti giacimenti petroliferi, con i loro terminali e i loro crocevia. Siamo di fronte a un’altra guerra per il petrolio e per le sfere d’influenza.

I valori democratici non c’entrano. Per questo è particolarmente stupida, oltre che odiosa, la campagna contro i musulmani che, in un modo o nell’altro, giornali, forze politiche di destra e “personalità di spicco” continuano ad alimentare.

Nel momento in cui disoccupazione, lavoro precario e bassi salari continuano a caratterizzare l’esistenza di milioni di lavoratori in Europa, c’è bisogno di ritrovare l’unità delle classi lavoratrici. Milioni di lavoratori immigrati lavorano ormai da anni e anni fianco a fianco con i lavoratori italiani. Molti sono di tradizione musulmana. In molti luoghi di lavoro si sono creati, legami di stima e di amicizia, spesso cementati da lotte condotte insieme. Le diffidenze si sono affievolite o annullate. Questo è il miglior punto di appoggio per opporsi al razzismo e alla xenofobia. Il nostro interesse non è dividersi fra italiani “veri” e immigrati, fra seguaci di questa o di quella religione, il nostro interesse è l’unità della classe lavoratrice e sono nostri nemici tutti quelli che agiscono per dividerla.