La Grecia ritorna alle urne

In Grecia la devastante crisi economica incrementa l'incertezza politica


In Grecia, come più volte abbiamo scritto, la crisi economica ormai ha causato una vera e propria catastrofe sociale, il livello di occupazione, il potere d'acquisto dei salari, l'efficienza dei servizi pubblici e sociali, scuola, sanità e quant'altro, sono in caduta libera. I partiti che hanno governato la Grecia negli ultimi 38 anni, PASOK e Nea Dimokratia, e che negli ultimi mesi hanno convissuto nella stessa coalizione, in sostanza alla popolazione hanno saputo dire solo di "smettere di mangiare" per non "far morire di fame il paese".

Le elezioni del 6 maggio sono state fortemente volute dal partito conservatore, Nea Dimokratia, che sperava di vincerle e diventare il partito centrale del nuovo governo. La campagna elettorale è stata molto accesa, il confronto elettorale che tradizionalmente giostrava intorno ai due maggiori partiti e ad altre due o tre formazioni minori, ha interessato questa volta almeno una decina di formazioni, sette delle quali sono entrate in parlamento. Tema centrale è stato il cosiddetto mnimonio, cioè gli accordi fra governo greco e BCE, Unione Europea e FMI che garantiva "aiuti" economici alla Grecia solo se questa avesse imposto una durissima, barbara come si dice qui, politica di sacrifici e di austerità. Nonostante il tema fosse scottante, nonostante più che ci si avvicinava alle elezioni, più i partiti alzavano la voce, la fiducia in un cambiamento per via parlamentare è sembrato diminuire, almeno così ci dicono i numeri, infatti la percentuale dei voti validi è scesa dal 71% circa al 65% circa, confermando un trend che va avanti da tempo.

La prima cosa che possiamo vedere dai risultati elettorali è che il quadro parlamentare nato alla fine degli anni '70 è completamente saltato.

Il partito socialista (PASOK) era il primo partito con quasi il 44% dei voti, è sceso a poco più del 13% diventando il terzo partito. Nea Dimokratia è sceso dal 33,5% circa dei voti la 18,8%, con la magra consolazione di diventare il primo partito. Notevole affermazione è stata quella del SYRIZA, una formazione di partiti di sinistra che, passando dal 4,6% al 16,8% è diventato il secondo partito. Il partito comunista (KKE) ha leggermente migliorato le sue posizioni raggiungendo circa 8,5% dei voti. Tre nuovi partiti hanno raggiunto il parlamento, Anexartiti Ellines, (Greci Indipendenti) scissione di Nea Dimokratia, che ha ottenuto il 10,7% dei voti, Dimokratiki Aristera, scissione del SYRIZA, con il 6,1%, Chrisi Avghi (Alba Dorata), una formazione razzista e ultrareazionaria, ha ottenuto quasi il 7% moltiplicando per venti i suoi voti. Altri 25 liste, non sono entrate in parlamento pur raccogliendo nel complesso circa un quinto dei voti validi. Una lista di estrema sinistra, ANTARSYA, formata da una decina di gruppi, portando avanti la parola d'ordine "Via dall'Euro, via dall'Unione Europea!", ha ottenuto poco più dell'1% dei voti.

Possiamo vedere le elezioni come una sorta di "termometro", per quanto distorto, che misura l'umor politico della popolazione. In Grecia questo termometro ci ha mostrato una grande sfiducia verso i partiti tradizionali, uno spostamento del consenso verso i tre partiti riformisti (SYRIZA, KKE, Dimokratiki Aristera), ma anche la crescita di formazioni populiste, nazionaliste o peggio nazistoidi come Chrisi Avghi.

La possibilità di formare un nuovo governo sono apparse subito tutte in salita. Una governo Nea Dimokratia - PASOK, continuazione della coalizione precedente non era possibile perché non poteva raggiungere la maggioranza parlamentare. Il SYRIZA, che chiedeva l'uscita dalla politica del mnimonio, pur non auspicando l'abbandono dell'Euro e dell'Unione Europea, si è rifiutato di entrare in una coalizione con Nea Dimokratia e PASOK, per non bruciarsi il consenso in un governo conciliante con le direttive di Unione Europea, BCE e FMI. Non partecipando il SYRIZA, anche Dimokratiki Aristera si è tirata indietro. Ogni altro sforzo del presidente della repubblica, Papulias, per formare un nuovo governo è svanito velocemente. Non è rimasto altro che dover indire nuove elezioni, il 17 maggio è stato varato un "governo di servizio", guidato dall'alto magistrato Pikrammenos (ironia della sorte, in greco il nome significa: amareggiato), per accompagnare il paese a nuove elezioni. Lo stesso giorno è stato inaugurato e sciolto il parlamento espressione delle elezioni del 6 maggio

La crisi economica ha dato un durissimo colpo alla società greca, i suoi riflessi sono evidenti anche nel sistema politico parlamentare. Nessun partito è in grado di esprimere una maggioranza, sembra impossibile un governo di coalizione. Le prossime elezioni potrebbero riprodurre un quadro analogo a quello precedente.

Ma quello che dovrà essere chiaro ai lavoratori greci è che nessun risultato elettorale potrà salvarli dalla disperata situazione in cui li ha cacciati la bancarotta del sistema capitalistico. Solo una ripresa e l'estensione delle lotte, della fiducia dei lavoratori sulle loro possibilità, solo il collegamento delle lotte in Grecia con quelle del resto d'Europa, potrà portare ad un aumento della consapevolezza e alla formazione di lavoratori più coscienti che potranno inquadrare queste lotte in visione più complessiva della lotta di classe. Solo questa potrà essere la strada, non certo quella auspicata dai vari partiti riformisti che sulle previsioni dei sondaggi costruiscono le alchimie di un futuro ipotetico governo di "sinistra".

Corrispondenza da Atene