La situazione economica in Grecia si aggrava di giorno in giorno, davanti a questo fallimento totale il governo e la borghesia greca stanno cercando la “salvezza della patria e dei greci” accelerando e intensificando il giro di vite sui lavoratori.
Ancora nel mese di febbraio, quindi poco più che tre mesi fa, il primo ministro greco Giorgio Papandreu, pur non negando le gravi difficoltà economiche, annunciava che ormai “la fine del tunnel era in vista”. È passato poco tempo e la Grecia è descritta, come probabilmente è, un paese sull’orlo del fallimento. Le parole del ministro che pochi mesi fa cercavano di rassicurare la popolazione si sono scontrate con la durezza granitica dei fatti.
La crisi si è aggravata e si aggrava. La disoccupazione, che da tempo ha le sue punte massime nella Macedonia Occidentale e le minime nelle isole dell’Egeo, è più che raddoppiata fra il 2008 e il 2010 passando dal 7,7% al 14, 5% . La sua crescita sembra non arrestarsi, i disoccupati hanno raggiunto il 15,1% della popolazione attiva nel gennaio 2011 e il 15,9 % nel febbraio, mentre la disoccupazione giovanile è intorno al 40%.
Parliamo di dati ufficiali, in cui risulta occupato per le statistiche anche chi aveva un lavoro precario, magari di una settimana o meno, nel momento in cui vi è stata la rilevazione statistica. Con questi ritmi di crescita, con una media mensile di quasi lo 0,6%, è possibile che presto la Grecia raggiunga un tasso di disoccupazione superiore a un quinto della popolazione e possa superare la Spagna, la grande “malata” d’Europa su questo fronte.
Gli altri dati economici, non sono certo confortanti, come abbiamo già riportato su di un articolo precedente, la borsa ha chiuso l’anno scorso con una perdita generale del 40%. Continua a crollare la produzione industriale che è calata nel mese di marzo, dell’8% su base annua. I prezzi aumentano considerevolmente in tutti i settori dei trasporti (treno, autobus e metropolitana, autobus extraurbani, la benzina, i pedaggi autostradali), mentre l’aumento dell’IVA del 3%, in vigore da un anno, ha fatto lievitare i prezzi di moltissime merci. Ora sta andando avanti l’ipotesi di portare l’IVA al 23% anche nei generi alimentari, questo significa un aumento del 10% dei prezzi dei generi come pane, riso, verdura, carne, insomma sembra un ritorno alla famigerata tassa sul macinato i cui effetti sulla vita delle classi subalterne furono ben descritti nel romanzo “Il Mulino del Po” di Riccardo Bacchelli. Il capitalismo nel suo “inarrestabile progresso” sta tornando indietro, come un gambero, verso il XIX secolo.
A questa situazione non certo rosea, si sono sommate due valutazioni sullo stato della Grecia, quella della Moody’s del 7 marzo e quella dell’Agenzia Standar & Poor’s del 9 maggio, che hanno declassato l’economia del paese suscitando uno scossone economico (sentito anche dalle borse europee) e politico. Sono seguite una serie di dichiarazioni a livello europeo che sollecitavano la Grecia a fare di “di più”, ad accelerare le privatizzazioni, a vendere il patrimonio statale per garantire il pagamento della rata (12 miliardi di euro, in scadenza a giugno) del prestito contratto lo scorso anno per ripianare l’economia.
Papandreu, dopo aver contestato la valutazione della Standar & Poor’s, ha fatto una dichiarazione che si riassume con queste parole “stiamo già tirando la cinghia, lasciateci in pace”. Una dichiarazione così, fra il depresso e il rassegnato, in un mondo guidato da capi di governo “brillanti”, “fiduciosi” e sempre con un sorriso a 32 denti, ci mostra meglio di tante analisi il clima che si respira in Grecia. Si chiedono privatizzazioni e nuovi sacrifici in cambio di “aiuti”. Il gioco è in mano agli eventuali acquirenti delle società da privatizzare, più che la Grecia affonda meno vale ciò che si vuole privatizzare. Per fare un esempio, la proposta di vendita, fatta dal governo, di una parte della OTE (la società telefonica di cui lo stato greco è ancora in parte proprietario) alla Deutsche Telecom, sembra momentaneamente arenata. La Deutsche Telecom, lamenta che il costo del lavoro pesa del 37% all’OTE, contro il 20% nella società telefonica tedesca. Il che vuol dire che per supplire questo handicap del 37%, un eventuale acquisto potrà essere fatto solo a un prezzo più basso di quello proposto dal governo greco, a meno che non si riesca a ridurre in brevissimo tempo il costo del lavoro in quest’azienda….
Si gioca al ribasso, e non si sa bene ancora cosa si potrà vendere per “raggranellare” i soldi e restituire i miliardi di euro di “aiuti” (un modo elegante per non dire strozzinaggio) ricevuti la scorsa primavera.
Una serie di dichiarazioni, fra cui quelle del premio nobel per l’economia Krugman, ci raccontano di una Grecia ormai per metà fuori dal sistema dell’euro. Non è possibile prevedere se questa uscita potrà avvenire. Ma sicuramente una scelta del genere è molto delicata perché metterebbe a rischio il sistema stesso creando un effetto domino sui paesi più deboli Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia.
Il commissario europeo alla pesca Maria Damanaki, sul suo sito internet, ha parlato, con una superficialità sconcertante, di un possibile ritorno alla dracma. La Damanaki nel 1973, giovanissima, è stata uno dei leader della lotta del Politecnico soffocata nel sangue dalla giunta militare, col ritorno alla democrazia, grazie al ruolo che aveva svolto al Politecnico si è costruita la sua carriera politica, una carriera politica che dallo stalinista Partito Comunista (KKE) attraverso una tappa intermedia nel Synaspismos (una coalizione di sinistra) l’ha vista approdare al PASOK, il partito socialista. Il suo ruolo in questo partito è stato sempre di secondo piano, c’è che dice che è stata mandata a Bruxelles solo per trovargli un posto.
Qui tutti l’hanno smentita direttamente o indirettamente, anche la segretaria del KKE, Aleka Papariga, in un’intervista telefonica all’emittente Antenna ha dichiarato che “la soluzione fuori dall’euro per tornare alla dracma in queste condizioni sarebbe una catastrofe” e ha interpretato le dichiarazioni della Damanaki come “un ricatto verso il popolo greco”. In questa situazione anche la posizione del KKE sempre stata contro “l’euro dei grandi monopoli” (come se bastasse una moneta “nazionale” a tenere a bada il capitalismo) è cambiata.
Il 27 maggio il presidente della repubblica Karolos Papulias ha presieduto una riunione con i rappresentanti di tutti i partiti parlamentari, ogni partito ha esposto le sue posizioni, ma l’ipotesi ventilata da qualcuno di un governo di “unione sacra” per salvare la Grecia non ha avuto spazio, a pensare che in Europa c’è chi è favorevole a una strada di questo tipo, sarebbe il modo migliore e più efficiente per far ingoiare ai lavoratori i tanti, tantissimi rospi che si stanno preparando.
Rospi che settori sempre più consistenti di lavoratori, pensionati, giovani studenti senza prospettive davanti, non vogliono più ingoiare.
Dal 25 maggio, ormai è una settimana dal momento in cui scriviamo, una moltitudine “assedia” il parlamento in piazza Syntagma ad Atene. La manifestazione, “senza bandiere di partito”, degli “indignati” è stata convocata tramite il web e sta avendo una partecipazione senza precedenti. Domenica 29 maggio i partecipanti erano sicuramente di più (la polizia ha parlato di 80.000 persone) del primo giorno quando già la manifestazione aveva avuto un grande successo. Contemporaneamente a Salonicco, sotto la Torre Bianca che è il simbolo della città, come in molte altre località della Grecia, si stanno tenendo manifestazioni analoghe.
Andando Atene davanti al parlamento, si capisce subito che, di là dell’insofferenza per la crisi e per delle istituzioni che hanno perso credibilità, è poco chiaro, fra i partecipanti, lo sbocco che potrà avere questa protesta. La stragrande maggioranza dei partecipanti alla protesta pensa ancora che il problema sia “salvare la Grecia” e che governo e parlamento non stanno facendo il loro dovere in questo compito. Siamo molto lontani da un minimo di coscienza di classe, anzi fra gli stessi partecipanti vi sono soggetti come padroncini e grossi bottegai rovinati dalla crisi che vorrebbero ritornare semplicemente “al prima”, cioè a sfruttare, facendo “decenti” profitti, i loro dipendenti. Ma accanto a questi, molto più numerosi troviamo, lavoratori, pensionati e giovani, sarebbe tanto settario quanto stupido non tenerne di conto.
Lasciare che questa disponibilità alla mobilitazione si esaurisca senza tentare di allargare e far crescere alla coscienza di classe fra queste “masse attive” sarebbe per i rivoluzionari, o per chi almeno si sforza di essere rivoluzionario, regalare altre energie alla borghesia, sarebbe un altro treno perso. Un treno che partiti riformisti e borghesi, interessati a “mettersi alla testa del movimento” non intendono perdere, non a caso questa sera (31 maggio) l’Arcivescovo di Salonnicco sarà sotto la Torre Bianca a manifestare con gli “indignati”.
Corrispondenza da Atene