La Fiat chiude l’Irisbus, gli operai rispondono con la lotta

Occupazione della fabbrica e assemblea permanente. Lo sciopero di tutto il gruppo Fiat il 21 ottobre è un primo passo per far uscire dall’isolamento i lavoratori della fabbrica irpina. Lo stesso giorno sciopero nazionale anche di Fincantieri.

I lavoratori della Irisbus (Fiat Iveco) di Valle Ufita sono in lotta contro la decisione della Fiat di cessare l’attività produttiva dell’unico stabilimento italiano che produce autobus. La chiusura della fabbrica comporterebbe la perdita di 700 posti di lavoro più altri 800 nell’indotto. Il 3 ottobre la Fiat ha attivato le procedure per la messa in mobilità e la cassa integrazione per tutti i lavoratori dello stabilimento. Gli operai dello stabilimento di Flumeri hanno risposto con un duro picchetto davanti ai cancelli della fabbrica bloccando l’uscita di 15 bus da consegnare al Comune di Torino.

Dopo la CNH di Imola e Termini Imerese, un altro stabilimento Fiat rischia di sparire. Il “Piano Fabbrica Italia” di Marchionne, che prometteva investimenti, nuovi modelli e nessuna chiusura di siti, si è rivelato una colossale bugia, il classico specchietto per le allodole usato per far trangugiare agli operai la “deregulation” contrattuale di Pomigliano, Mirafiori, Bertone e via via di tutti gli stabilimenti Fiat. La recente uscita del Lingotto da Confindustria svela il vero disegno che si cela dietro il “Piano Fabbrica Italia”: l’eliminazione di ogni tutela nei rapporti di lavoro a partire dalla deroga ai contratti nazionali di categoria.

Al disimpegno contrattuale si accompagna quello produttivo di un’azienda sempre più impegnata in operazioni finanziarie a livello internazionale che non a costruire autovetture in Italia. Ora la Fiat non costruirà neppure gli autobus, pur continuando, per gentil concessione del governo, a partecipare alle gare italiane con le produzioni a marchio Irisbus fatte in Francia e in Repubblica Ceca.

Le trattative al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) si sono rivelate un’inutile perdita di tempo per i lavoratori. Il ministro Romani non ha saputo far di meglio che proporre un rinvio di due mesi della chiusura dell’azienda e ipotizzarne la cessione al gruppo dell’imprenditore molisano Di Risio, la cui attività produttiva consiste nell’assemblare city car per conto di costruttori stranieri. Il solito faccendiere di turno che, ben lungi dal garantire la continuità della produzione e il mantenimento dei livelli occupazionali, interviene là dove vede la possibilità di mettere le mani sui soldi pubblici. Non a caso, costui ha provato a mettere le mani non solo su Irisbus ma anche su Termini Imerese.

Una vera e propria beffa che ha fatto esplodere la rabbia degli operai che, a inizio settembre, hanno occupato la fabbrica riunendosi in assemblea permanente.

Il 7 settembre un’assemblea dei lavoratori, stanchi degli inconcludenti incontri al MISE, approvava un documento che impegnava i sindacati territoriali confederali e quelli nazionali di categoria a richiedere alla Presidenza del Consiglio l’avocazione a sé della vertenza Irisbus, al fine di definire e finanziare il piano nazionale dei trasporti a garanzia del mantenimento della produzione di bus nello stabilimento di Valle Ufita. In caso di rifiuto governativo, i sindacati avrebbero dato vita a una grande manifestazione a Roma entro il 21 settembre.

Non c’è miglior sordo di chi non vuol sentire, recita il proverbio. Le organizzazioni sindacali, infatti, hanno continuato imperterrite a frequentare le stanze del ministro Romani. Il 21 settembre i lavoratori di Irisbus, decidevano autonomamente di recarsi a Roma per protestare davanti al ministero. Lì giunti, venivano brutalmente caricati dalla polizia. Neppure questo episodio gravissimo ha indotto i segretari confederali ad interrompere un incontro con Confindustria a Palazzo Barberini per unirsi agli operai aggrediti dalle forze dell’ordine.

Il 26 settembre gli operai si riunivano nuovamente in assemblea e approvavano all’unanimità un documento proposto unitariamente dalle Rsu della fabbrica. Il documento accusava le organizzazioni sindacali di non aver rispettato gli impegni presi nell’assemblea del 7 settembre continuando gli inutili incontri al MISE e “dimenticando” di indire la manifestazione del 21 settembre. Il documento si concludeva con la richiesta ai sindacati nazionali confederali e di categoria di dare rilevanza nazionale alla vertenza e di proclamare uno sciopero generale nazionale del gruppo Fiat e di uno generale della provincia di Avellino.

I segretari nazionali e territoriali di tutte le sigle, presentatisi davanti ai cancelli per partecipare all’assemblea, venivano accolti con cori e secchiate d’acqua fredda dagli operai arrabbiati. «Basta prenderci per il naso – hanno urlato, davanti ai cancelli, le tute blu – il sindacato ci deve sostenere. Ma non a parole».

Ad alcuni sindacalisti di Cisl e Uil territoriali, che avevano denigrato il documento del 26 settembre affermando che era stato approvato da una sparuta minoranza, i lavoratori hanno replicato dichiarando che «questi individui, sfiduciando il documento, sfiduciavano loro stessi, le Rsu, i lavoratori tutti e la proposta di lotta per il piano autobus che è stata l’unità di questi 80 giorni di lotta».

Queste parole dimostrano, ancora una volta, che spesso gli operai sono più coscienti dei loro rappresentanti.

Nei primi giorni di ottobre è apparso un nuovo potenziale acquisitore di Irisbus. Si tratta del colosso automobilistico cinese Dfm alla ricerca di nuovi mercati in occidente. Un nuovo bluff dopo quello di Di Risio? Una cosa è certa: nessun padrone, grande o piccolo, italiano o straniero, ha a cuore la sorte dei lavoratori e delle loro famiglie, ma solo i propri profitti. Oggi rilevo la fabbrica e ti assumo, domani la chiudo e ti licenzio. Per questo la lotta per la salvaguardia del posto di lavoro per tutti i lavoratori può essere vincente solo se esce dai confini aziendali e locali e assume un respiro generale e nazionale. Proprio quello che chiedono sin dall’inizio e con forza gli operai della Iribus.

Il 21ottobre i lavoratori di tutti gli stabilimenti di Fincantieri hanno scioperato e manifestato a Roma a fianco degli operai della Fiat. E’ la strada da percorrere, purché qualcuno non fermi la “vettura” dopo il primo chilometro.

Corrispondenza Napoli