Reo di non aver mai piegato la testa, da sempre punto di riferimento per gli altri operai, da tempo era stato isolato dagli altri compagni di lavoro. Poi, terminato lo sciopero dello stampaggio, è arrivato il suo licenziamento.
Lo sciopero di fine febbraio allo stampaggio della Fca di Pomigliano ha visto il coinvolgimento di tutti gli operai, inizialmente con la copertura della FIOM, che poi si è tirata indietro. Ciò ha contribuito a far sì che la lotta non si estendesse agli altri reparti. La FIOM, anziché fare retromarcia con la richiesta di una fantomatica trattativa, peraltro mai avvenuta, avrebbe dovuto sostenere lo sciopero fino in fondo e non farlo rientrare. Fim, Uilm e Fismic, dal canto loro, hanno mostrato, anche in questa circostanza, la propria vocazione di cani da guardia del padrone cercando di spaventare gli operai prima, durante e dopo lo sciopero. Le intimidazioni dei capi e i pedinamenti dei vigilanti nei confronti degli operai che avevano aderito allo sciopero sono continuate e, proprio in quei giorni, un operaio, iscritto alla FIOM, veniva licenziato.
Questo lavoratore, reo di non aver mai piegato la testa, costituiva per l’azienda un pericolo da eliminare a causa del suo essere punto di riferimento per i compagni di lavoro. Egli, infatti, non aveva mai cessato di cercare il contatto con gli operai dello stampaggio in lotta, anche se da tempo era stato spostato in un posto di lavoro dove non poteva comunicare con gli altri operai, costretto a lavorare con un macchinario difettoso che gli impediva di produrre quanto gli era richiesto, spesso messo nell’impossibilità di soddisfare i più elementari bisogni fisiologici.
Quanto accaduto sia di lezione per le lotte future. Alle pressioni, ai ricatti e ai licenziamenti per rappresaglia di Fca si può rispondere soltanto lottando uniti per affermare le proprie ragioni. È l’unica strada praticabile per gli operai.