La fabbrica del cancro cerca l'impunità

Più di 2800 morti, 47 nuovi casi di mesotelioma pleurico a Casale Monferrato solo nel 2011. Centinaia di famiglie devastate dall’asbesto, la micidiale polvere che la Eternit ha sparso in fabbrica e fuori. Una fabbrica che ha continuato a seminare morte ancora per trent’anni, dopo che tutto il mondo ne aveva consapevolezza.


Con gli stessi soldi che gli hanno reso i profitti della fabbrica, dove gli operai morivano ammazzati dall’amianto, oggi il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny tenta di guadagnarsi, se non l’impunità, per lo meno un corposo sconto. Al processo istruito dal pm Raffaele Guariniello, che si sta svolgendo in un silenzio pressoché generale dal 6 aprile 2009, a metà dicembre è comparso un fatto nuovo. La notizia, ripresa da pochi giornali – e non certo nelle prime pagine – riguarda la decisione del Consiglio Comunale di Casale Monferrato di ritirare dal processo la costituzione parte civile del Comune, in cambio di un corposo indennizzo di 18 milioni di euro. Tanto è disponibile a sborsare Schmidheiny, per guadagnarsi qualche probabile attenuante dalla Corte che dovrà giudicarlo. Il pm Guariniello – da anni impegnato in tanti processi sulla sicurezza del lavoro, compreso quello sul disastro alla Thyssen - ha chiesto 20 anni per i crimini commessi dall’imprenditore svizzero e dal barone belga Jean Louis Marie Ghislain: disastro ambientale doloso e omissione volontaria di cautele nei luoghi di lavoro. La Eternit aveva stabilimenti a Casale Monferrato e a Cavagnolo in Piemonte, a Reggio Emilia e a Napoli. La fabbrica di Casale è rimasta aperta fino al 1986, e nonostante la Legge 257 del 1992 riconoscesse i rischi per la salute della polvere di amianto, mettendo al bando tutti i prodotti contenenti questa sostanza, solo nel 1994 il suo utilizzo è stato definitivamente vietato.

Che la polvere di amianto provocasse il mesotelioma pleurico, una forma di cancro non curabile, che condanna irrimediabilmente a una morte certa, era già noto fin dagli anni ‘60. Per trent’anni quindi, senza nessun’altra giustificazione – se non mantenere semplicemente i profitti – si è continuato a produrre un materiale potenzialmente mortale, sia nella produzione che nell’utilizzo. La prima vittima documentata di Eternit a Casale Monferrato risale al 1947. Negli ultimi due anni sono morte per mesotelioma 84 persone, e presumibilmente altre continueranno ad ammalarsi e a morire, perché il tempo di incubazione dell’asbesto arriva a trent’anni. Per Casale la situazione è ancora più grave, perché lo stabilimento disperdeva tramite aeratori la polvere di amianto, perché era stato utilizzato amianto anche per le massicciate delle strade, perché si lasciavano giocare perfino i bambini sui cumuli di quella polvere soffice. Basta che una sola fibra di amianto penetri nel polmone, perché la malattia si sviluppi: così sono morte anche le mogli degli operai che lavavano le loro tute da lavoro, i loro figli e i nipoti che hanno respirato la polvere.

Oggi a Casale e dintorni rimangono ancora un milione di metri quadrati di lastre di eternit da smaltire. La città, che dal 1907 al 1986 ha pensato di vivere grazie alla fabbrica, non sapeva che la fabbrica la stava avvelenando. Chi ha sfruttato il lavoro e la vita dei suoi operai, ma anche del territorio e dei suoi abitanti, ha tentato fino a vent’anni fa di oscurare la verità, e oggi tenta di non pagarne le conseguenze. Nonostante l’associazione delle vittime avesse chiesto con forza che il Consiglio Comunale non accettasse lo scambio tra i 18 milioni e i suoi morti, la maggioranza consiliare PDL ha accettato, con la giustificazione che servono soldi per le bonifiche e per il ripristino del territorio. I soldi per le bonifiche la Eternit avrebbe dovuto essere obbligata a sborsarli comunque – era il minimo che potesse fare. I morti invece – quelli che ci sono stati e quelli che verranno – non hanno un prezzo né un indennizzo.

La sentenza del processo di Torino arriverà a febbraio, vedremo se ancora una volta l’esito sarà scontato.