Il 4 settembre in tutta la Toscana i treni si sono fermati per uno sciopero contro le aggressioni subite dal personale viaggiante. L’episodio più recente, la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, si era verificato il 26 agosto sul treno regionale 2337, che parte da Pisa alle 7,45 diretto a Roma. Nei mesi estivi questo treno è affollato di venditori ambulanti di varie nazionalità che cercano di sbarcare il lunario vendendo la loro povera merce nelle spiagge delle cittadine costiere a sud di Livorno.
Si può intuire che ben pochi di loro viaggino con un biglietto in regola. È una situazione che tutti conoscono, dalla direzione aziendale alla polizia ferroviaria. La “controlleria”, ovvero il lavoro di controllo dei biglietti, in queste condizioni, espone per forza di cose i capitreno a tensioni continue. Così, alla fine, c’è stata l’aggressione vera e propria, in prossimità della stazione di Campiglia, e il capotreno ha dovuto ricorrere al pronto soccorso.
La stampa si è naturalmente buttata a capofitto sull’episodio. Si sono levati i soliti allarmi sugli immigrati che “spadroneggiano in casa nostra”, e così via. Gli esponenti della Lega di Salvini, quelli del Nuovo Centro Destra, quelli di Forza Italia hanno strillato più forte degli altri, ben contenti di avere un argomento di facile presa contro l’amministrazione regionale di centro-sinistra.
La realtà di questa difficile estate è che le aggressioni contro i capitreno non hanno nazione. Certo, l’aggressione di un capotreno di Trenord, nella periferia di Milano l’11 giugno, da parte di una banda di sudamericani, uno dei quali armato di machete, ha suscitato il giusto sdegno del pubblico. Ma il 16 giugno sulla linea Gallarate-Varese sei ragazze italiane hanno aggredito una capotreno. Un altro capotreno, il 25 agosto, è stato aggredito da una decina di giovani teppisti italiani che stavano devastando, bastoni alla mano, gli arredi delle vetture di un treno regionale sulla Napoli-Caserta. Un altro episodio sulla Napoli-Piedimonte matese ha visto protagonista un italiano che ha accoltellato chi lo invitava a pagare il biglietto.
Il moltiplicarsi delle aggressioni ha una serie di cause, che la crisi ha ulteriormente esasperato. Tutte sono riconducibili a fenomeni che sarebbe infantile ridurre a problemi di ordine pubblico.
Resta il fatto che i ferrovieri hanno diritto di esigere un ambiente di lavoro sicuro. Da questo punto di vista, non si può ignorare che le continue ristrutturazioni hanno trasformato in pochi anni l’ambiente ferroviario. Le stazioni più piccole sono diventate terra di nessuno, quelle più grandi sono state trasformate in empori commerciali. In ambedue i casi il personale di stazione o non esiste più o è ridotto all’osso. È venuto meno, in questo modo, un fattore normale di “deterrenza” contro la proliferazione della delinquenza spicciola. Lo stesso si può dire per il personale dei treni. Un treno di otto carrozze (quasi un quarto di chilometro) oggi può viaggiare con un solo capotreno e un solo macchinista.
Qui le responsabilità sono precise, e fanno capo alla direzione del gruppo Ferrovie dello Stato in primo luogo.
Il problema della sicurezza sul posto di lavoro è giustamente sentito dai ferrovieri, come da molte altre categorie di lavoratori. È vero che le aggressioni sono divenute, da qualche anno, la prima causa di infortunio per il personale viaggiante. Detto questo non bisogna dimenticare tutti gli altri fattori di rischio. Molti di questi sono dovuti alla scarsità di controlli e di manutenzione. Talvolta, questa stessa estate, si è sfiorata la tragedia. Il 20 luglio, una porta di un regionale Firenze-Arezzo, in galleria, si è staccata ed è stata risucchiata dal vuoto creato da un treno incrociante, il 25 agosto un regionale va in fiamme a Napoli, il 29 agosto la carrozza di coda del regionale 11885 per Piombino, con circa 150 persone a bordo, svia dai binari e viene fermato in tempo dal personale del treno.
Del resto, dal 2006, sono morti 56 lavoratori delle attività ferroviarie. L’ultimo è stato il giovane Antonio Brino, 28 anni, schiacciato a La Spezia tra i respingenti di un treno merci e quelli del binario.
Con buona pace dei giornali reazionari, qui gli immigrati non c’entrano niente.
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