Aiuti di stato ai padroni, cassa integrazione e licenziamenti per gli operai
L’ad Fiat Marchionne, in gennaio, aveva minacciato 60.000 licenziamenti nel caso non fossero arrivati gli incentivi per l’auto. A partire dal settembre 2007, l’azienda aveva dato il via a raffiche di cassa integrazione generalizzata riducendo l’attività lavorativa ai minimi termini. A Mirafiori, ad esempio, i lavoratori sono stati lasciati a casa da una a due settimane al mese.
Una volta approvato dal governo il piano di aiuti al settore, ecco la Fiat fare una parziale, parzialissima marcia indietro annullando, ma solo per i 1000 operai della MiTo, due delle tre settimane di cig programmate dal 23 febbraio all’8 marzo per gli oltre 5000 lavoratori delle Carrozzerie.
Un confortante segnale di uscita dalla crisi? Manco per nulla! Gli incentivi per l’auto, uno dei tanti “pacchetti” di aiuti di stato che i governi dei paesi capitalistici stanno approvando a colpi di miliardi di euro, serviranno solo a rabboccare per qualche mese le casse già ricolme di profitti accumulati dalle aziende automobilistiche, che intanto continuano a licenziare migliaia di operai. I “taumaturgici” effetti degli incentivi si esauriranno molto presto di fronte all’aggravarsi della crisi finanziaria internazionale, figliastra di quella storica di sovrapproduzione. E’ come aver versato un bicchiere d’acqua in una botte bucata.
Senza contare, per tornare in Italia e in particolare a Torino, che in Fiat la cig continua ad interessare moltissimi lavoratori, e non solo quelli dell’auto. 2.700 operai della Powertrain (ex-Iveco) saranno lasciati a casa in marzo per tre settimane a 750 euro mensili. La stessa New Holland, azienda del gruppo Fiat, 2° produttore al mondo di macchine movimento terra, nonostante gli strabilianti aumenti dei volumi produttivi registrati ancora nell’ultimo periodo, in gennaio ha annunciato 24 settimane di cig per buona parte dei 580 lavoratori dello stabilimento di S. Mauro, il cui salario si è ormai ridotto a 700 euro al mese. Un loro compagno di lavoro, padre di una bimba di 5 anni, da mesi in cig senza mai essere richiamato al lavoro, in preda allo sconforto, in febbraio si è tolto la vita. Ma l’amarezza degli operai sa anche trasformarsi in voglia di riscatto. In questi mesi i lavoratori della New Holland hanno dato vita a numerosi presidi davanti ai cancelli della fabbrica. Il 19 febbraio, una folta delegazione di operai e delegati ha manifestato di fronte al campo sportivo di Vinovo, dove si allena la Juventus, squadra di calcio di cui la New Holland è sponsor. L’azienda versa fior di milioni alla società calcistica per pubblicizzare il marchio apposto sulle magliette dei calciatori, mentre mette i lavoratori in cassa integrazione a zero ore. Eloquente lo striscione esibito dagli operai: “Voi in campo noi in panchina”.
Ma è tutta l’industria piemontese ad essere interessata dalla crisi. E sono i lavoratori a pagarne i costi in modo sempre più pesante. L’indagine di Union Camere Piemonte ha fotografato una flessione della produzione del 12,4% nel 4° trimestre 2008 rispetto allo stesso periodo del 2007. 1067 le imprese e 97.000 i lavoratori coinvolti. La Confederazione dell’Artigianato regionale parla di 35.000 posti di lavoro a rischio nelle piccole imprese piemontesi (più di 6.000 solo nel settore auto). Il 60% delle imprese artigiane denuncia un crollo del fatturato e la conseguente riduzione dei dipendenti. Sono sempre più numerose le chiusure di aziende di piccole dimensioni. Nel solo settore meccanico (elettrauto, carrozzerie e gommisti), esse sono scese da 7.200 a 6.000 dal 2001 al 2007.
Non va certamente meglio per le imprese più grandi. Il 3 febbraio l’Indesit ha comunicato ai sindacati di voler chiudere la fabbrica di None che occupa 600 lavoratori. Intenzione confermata nell’incontro del 24 febbraio all’Unione Industriale di Torino, mentre i lavoratori presidiavano la sede padronale. L’Indesit, che ha un altro stabilimento nell’Est europeo, produce a None fino a 900.000 lavastoviglie all’anno per un mercato ben lungi dall’essere saturo. Un’altra azienda in buona salute che approfitta della crisi mondiale per non rimanere esclusa dai pingui aiuti di stato che il governo si appresta ad elargire ai padroni “in difficoltà”? Ma l’Indesit non aveva previsto un aumento dei volumi produttivi del 5% tra il 2008 e il 2010 grazie ad un programma di forti investimenti e il lancio di un nuovo prodotto?
Gli unici ad essere tagliati fuori dagli aiuti di stato sono i lavoratori, a cui non resta che lottare per difendere il salario e il posto di lavoro recuperando la fiducia nella propria forza. Lo sciopero del 2 marzo dei lavoratori della Indesit, indetto da Fim, Fiom e Uilm proprio nel giorno in cui il Comitato aziendale europeo ufficializzerà la chiusura dello stabilimento di None, deve trovare il necessario collegamento con le lotte di tante aziende in crisi nel territorio. Solo uscendo dall’isolamento i lavoratori potranno vincere il senso d’impotenza.
Corrispondenza da Torino