LA CREATIVITA' DELLA RAZZA PADRONA

Siccome i licenziamenti collettivi sono complicati da mettere in atto, la catena di supermercati PAM ha pensato di sfoltire il personale con altri metodi. Il test del carrello, assurto ai disonori della cronaca, è solo quello più eclatante

Un fine anno amaro per i 45 dipendenti dell'ipermercato Pam nel centro commerciale I Gigli di Campi Bisenzio. Dopo un sostanziale ridimensionamento, e 13 anni di cassa integrazione, ora l'impresa ha deciso di chiudere definitivamente e mandare a spasso tutto il personale, salvo una proroga al 13 gennaio: in attesa di sondare le intenzioni del Governo, qualora accettasse di inserire nella Finanziaria 2026 le risorse per la cassa integrazione, e dovendo valutare se le stesse siano ritenute sufficienti e utilizzabili. Non è il primo caso di chiusura. Altri lo hanno preceduto, sia in Veneto, che è la regione di origine degli imprenditori che nel 1958 hanno fondato il gruppo, sia in Lombardia, nel Lazio e ultimamente soprattutto in Toscana (Arezzo, Pisa, Firenze). Nel tempo la proprietà si è distinta anche per altri interventi vessatori, come la disdetta unilaterale del contratto integrativo aziendale, tanto per ridurre gli stipendi e peggiorare le condizioni di lavoro, o anche il taglio dell'appalto delle pulizie, assegnando il compito ai dipendenti (tentativo a suo tempo bloccato dal sindacato).

Si sa che affrontare un licenziamento collettivo non è facile e soprattutto è oneroso, proprio ciò che la proprietà è intenzionata a evitare. Anche per questo sta provando a sperimentare altri metodi, più semplici e sbrigativi, e in questa operazione ha dimostrato una creatività straordinaria. Secondo la Filcams Cgil di Roma e Lazio, fra i tentativi si annovera l'aggiornamento del Documento di Valutazione del Rischio, per poter dichiarare inidonee e licenziare una trentina di cassiere. La decisione è stata contestata dalle organizzazioni sindacali e le lavoratrici sono state riammesse al lavoro dopo tre mesi. L'azienda ha provato a provocare licenziamenti spontanei, con il trasferimento dei lavoratori a decine di chilometri di distanza, adducendo ragioni organizzative e produttive: anche queste decisioni sono state impugnate con il ricorso al Giudice del Lavoro.

Viene da pensare che a questo punto non le restassero che le maniere forti, e che queste siano state esercitate di preferenza verso il personale sindacalizzato, con più anzianità di servizio (ci sono stati casi di dipendenti colpiti da procedure di licenziamento con 35 anni di anzianità), o titolari di orari agevolati dovuti all'utilizzo della Legge 104 per l'assistenza ad anziani e disabili. Com'è ovvio, si tratta del personale più costoso e garantito, che la proprietà sostituirebbe di preferenza con dipendenti giovani, più sfruttabili, assunti con contratti più flessibili e meno retribuiti, di sicuro molto più vantaggiosi. In questo campo i pretesti per i licenziamenti sono i più svariati: si contestano pause troppo lunghe, prodotti scaduti e non ritirati dalla vendita (magari inesistenti), fino al famoso “test del carrello”, che ha provocato tre licenziamenti tra Livorno e Siena. Un cosiddetto ispettore simula il taccheggio presentandosi alla cassa con piccoli oggetti nascosti tra la frutta e la verdura, nel contenitore delle uova, tra le lattine di birra. E' un quiz: o sei bravo ad accorgertene, e bisogna proprio che il furto sia evidente, perché è quasi impossibile aguzzare la vista con il caos della fila alle casse, oppure è un metodo semplice e rapido per trovare un pretesto di licenziamento, che se ne infischia tra l'altro di qualsiasi accordo sindacale e non ha riferimento in nessuna normativa. Altro che qualità del servizio: “Questo test – hanno fatto sapere dalla Filcams Cgil – viene eseguito per verificare la qualità del servizio ed è inammissibile che questo controverso strumento sia utilizzato per licenziare” (Corriere della Sera Firenze, 21.11.25)

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Pam dice di lamentare nel suo bilancio rapine e ammanchi per 30 milioni di euro: quindi il problema sarebbe un rossetto tra la frutta? Anche qualora la cifra (con buone probabilità gonfiata) fosse veritiera, la responsabilità di una catena di evidenti incompetenze a più livelli sarebbe di chi sta alla cassa? Al di là dell'ovvia considerazione che un commesso non è un poliziotto, e che per tutelarsi dai furti l'impresa dovrebbe assumere personale specifico, è singolare che – nonostante scioperi e proteste – l'azienda insista nella liceità delle accuse e sia disponibile solo a commutare il licenziamento in sanzione e sospensione dal lavoro, creando un pericoloso precedente e scaricando i suoi errori sul personale. Al momento i lavoratori stanno facendo muro per opporsi all'arroganza padronale, ma è certo che lavorare in queste condizioni crea condizioni infernali di ansia e tensione continue.

Aemme