Nel corso della campagna per il referendum costituzionale, sono stati ampiamente utilizzati, come richiami propagandistici, i riferimenti alle origini della Costituzione italiana, alle sue particolarità e perfino alla sua…bellezza. Ma, al di là della scadenza del 4 dicembre, è bene che si dicano parole chiare su questo argomento. È vero infatti che idee e miti un tempo fortemente diffusi soprattutto dal Partito Comunista Italiano, vengono ora rimasticati e riciclati da un vasto fronte di correnti politiche e intellettuali più o meno di sinistra, col risultato di aumentare la confusione e di mettere altri inciampi sulla strada della maturazione politica della classe lavoratrice.
La guerra e la paura della rivoluzione
Come buona parte delle costituzioni europee, quella italiana è un prodotto della Seconda guerra mondiale. Per meglio dire, è un prodotto della nuova spartizione del mondo che ne è scaturita. Non solo: essa riflette anche la paura, condivisa da tutti i governi già nel corso del conflitto (e addirittura prima), che si potesse ripetere quello che già era successo con la Prima guerra: un ciclo di rivoluzioni o di tentativi rivoluzionari che nel 1917 portò il proletariato al potere in un paese, la Russia, e che minacciò seriamente l’ordinamento capitalistico in molti altri paesi, fra cui l’Italia.
Certo, da allora il quadro era cambiato. La rivoluzione russa, già nella seconda metà degli anni ‘20 era stata divorata dalla degenerazione burocratica, di cui Stalin e lo stalinismo furono l’espressione, e dal riflusso delle lotte operaie e contadine in Europa, America e Asia.
In ogni caso, l’ondata degli scioperi del 1943 e 1944 in Italia poteva far pensare all’approssimarsi di un’altra crisi rivoluzionaria. In questi scioperi avevano avuto un ruolo fondamentale i militanti collegati al PCI clandestino. È vero che Stalin aveva già offerto ampie rassicurazioni agli alleati inglesi e americani di non avere nessuna intenzione di promuovere rivoluzioni sociali né nelle zone occupate dall’esercito sovietico, né servendosi dei partiti comunisti dell’Europa occidentale. Del resto, nel 1943 aveva sciolto l’Internazionale comunista, ultimo residuo, ormai solo formale, dell’internazionalismo rivoluzionario di Lenin. Tre anni prima aveva fatto assassinare Trotskij nel suo esilio messicano, facendo tirare un sospiro di sollievo ai governi di tutto il mondo e, prima ancora, si era incaricato di eliminare i dirigenti rivoluzionari più influenti nel corso della guerra civile spagnola scoppiata nel 1936. Me nessuno, nemmeno Stalin, poteva garantire che il fuoco della rivoluzione proletaria non sarebbe divampato ancora.
Un primo riflesso “giuridico” della paura delle classi dirigenti in Italia si ha con il Manifesto di Verona della Repubblica di Salò del 1943. Il tentativo di Mussolini e dei fascisti è quello di ingraziarsi in qualche modo una classe operaia resa sempre più ostile dal proseguire della guerra e dall’aggravarsi della miseria. Lo stesso attributo “Sociale” appiccicato alla repubblica mussoliniana la dice lunga a questo proposito. Nel Manifesto di Verona si stabiliscono le direttive per la convocazione di una assemblea costituente, definita “potere sovrano d’origine popolare” e fa riflettere che si proclami che “base della Repubblica sociale e suo oggetto primario è il lavoro”. Evidente l’assonanza con il tanto celebrato articolo uno della Costituzione, spesso richiamato da politici e sindacalisti che spacciano questa frase vuota per una specie di “marchio di garanzia” sul carattere di democrazia sociale che avrebbe lo Stato italiano o, mistificazione ancora più pericolosa, come una sorta di “polizza assicurativa” per la classe lavoratrice. Forse non è un caso che l’estensore materiale dell’articolo 1 sia stato il democristiano Amintore Fanfani, già convinto sostenitore del corporativismo fascista e professore di “mistica fascista”, oltre che firmatario del famigerato “Manifesto per la difesa della razza” del 1938.
Togliatti a rimorchio della borghesia italiana
Il 2 giugno 1946, a un anno dalla fine della guerra, la popolazione italiana è chiamata contemporaneamente ad eleggere i rappresentanti all’Assemblea costituente e ad esprimersi con un referendum sul mantenimento della monarchia o il passaggio alla repubblica. Le vicende che accompagnarono la convocazione dell’Assemblea costituente, il ruolo dei principali partiti che la componevano, la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista, il Partito Socialista, non possono essere approfondite in un articolo di giornale. Basti dire che pesò fortemente il condizionamento delle forze militari alleate, quello del Vaticano e la condotta del PCI di Togliatti che, già con la cosiddetta svolta di Salerno del 1944, chiarì definitivamente ad una allibita platea di militanti, appena usciti dalle persecuzioni fasciste, che non era all’ordine del giorno il rovesciamento dell’ordine capitalistico (e in un primo tempo nemmeno della monarchia) ma solo l’affermarsi di un regime costituzionale parlamentare. Era la traduzione italiana della politica estera di Stalin, che, a parte i toni diversi della propaganda, non cambiò neanche quando, nel corso del 1947, si entrò nell’epoca della “guerra fredda”.
Questo non toglie che consistenti settori di operai, specie nelle città del nord, considerarono la loro partecipazione alla Resistenza solo come la prima tappa di una rivoluzione socialista. La riprova della diffusione di questo sentimento la si ebbe, nel luglio del 1948, quando uno studente di destra attentò alla vita di Togliatti. I lavoratori scesero in piazza, dando vita a un grande sciopero generale e a una serie di manifestazioni di carattere insurrezionale. Il bilancio fu di decine di morti e centinaia di feriti. Fu lo stesso segretario del PCI, dal letto dell’ospedale, a offrire un’altra grande prova di “responsabilità”, imponendo la sospensione dello sciopero e delle manifestazioni di piazza. Nei circoli dirigenti della borghesia italiana il ruolo di sostegno al capitalismo della direzione “comunista” si chiarì allora in modo definitivo.
Ed è ancora a Togliatti e al suo “realismo” politico che il Vaticano deve la conferma dei Patti Lateranensi stipulati tra Mussolini e il cardinale Gasparri nel 1929 e inseriti in Costituzione all’articolo 7. I socialisti e i comunisti avrebbero potuto mettere in minoranza la Democrazia Cristiana all’Assemblea costituente ma il PCI si schierò con questa contro il fronte delle forze laiche. In questo modo, andando ben oltre la libertà di culto, si riaffermò una condizione privilegiata della chiesa cattolica che ne ha consentito fino ad oggi la più ampia e capillare presenza in ambiti come l’insegnamento e la Sanità, oltre che una serie di agevolazioni fiscali per le sedi ecclesiastiche.
Le costituzioni borghesi
Un esame ulteriore della Costituzione richiederebbe molto spazio, ma, proprio perché, in fin dei conti, la sua originalità è di molto inferiore alla sua affinità rispetto alle tipiche costituzioni democratiche borghesi, si può dire quello che già diceva Marx per la costituzione francese del 1848 a proposito delle libertà democratiche: “Ognuna di queste libertà venne proclamata come diritto assoluto del cittadino francese, ma con la costante nota marginale che essa era illimitata nella misura in cui non le veniva posto un limite dagli “eguali diritti di altri e dalla sicurezza pubblica”, o dalle “leggi”, le quali hanno appunto il compito di mantenere questa armonia”. Detto in altri termini: al diritto proclamato nella prima parte di ogni articolo segue quasi sempre un rimando ai modi, alle forme, ai limiti entro i quali tale diritto può essere goduto. Così è, nel caso della Costituzione italiana, per la libertà di sciopero: “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano” (art.40). Lo stesso si potrebbe dire per la libertà di associazione, di riunione, di stampa, ecc.
Le poche parti della Costituzione che contengono diritti espressi chiaramente e senza condizioni sono state, nel corso dei decenni che ci separano dalla sua entrata in vigore, semplicemente ignorate dai governi, dai partiti, dalla stessa magistratura. È il caso dell’articolo 36, che garantirebbe ad ogni lavoratore almeno un salario in grado di consentire il mantenimento dignitoso, per sé e la sua famiglia. Questa arrogante indifferenza nei confronti di un articolo della Costituzione ha riguardato anche i sindacati. L’abolizione della scala mobile e l’accordo sulla concertazione contrattuale del 1993, che hanno profondamente contribuito all’immiserimento della classe operaia fino ai nostri giorni, vanno proprio nella direzione contraria all’articolo 36.
Nel 2012, con l’introduzione dell’“equilibrio di bilancio”, attraverso la modifica dell’articolo 81 della Costituzione, si è praticamente eliminata la certezza di ogni diritto costituzionale. È come se si fosse scritto in calce ad ogni articolo: “diritto di istruzione, di cure mediche, di assistenza per i disabili, ecc. ma solo nel caso che non comporti un deficit del bilancio statale”.
In conclusione, il mito della Costituzione non regge alla prova dei fatti storici. Più che nata dalla Resistenza, la Costituzione è nata dagli equilibri internazionali stabilitisi nel dopoguerra e dalla necessità di attutire le possibili spinte rivoluzionarie delle classi lavoratrici fingendo di accoglierne, in qualche modo e in un primo momento, le rivendicazioni. Lo scopo fu quello di garantire la continuità del potere alla classe capitalistica. Ciò che di rivoluzionario era presente nella Resistenza, in primo luogo le aspirazioni socialiste e comuniste dei militanti operai è stato eliminato dalla carta costituzionale. Al massimo ne è stata fatta una caricatura.
Fiumi di retorica patriottica non possono cancellare il carattere di classe del potere politico in Italia come nel resto del mondo. Il potere, fino ad oggi, non è mai stato nelle mani del “popolo” e l’unica vera sovranità è quella del capitale e dei suoi possessori. La Resistenza non ha creato uno speciale percorso storico per l’Italia e meno che mai lo ha fatto il suo pallido riflesso costituzionale. La classe lavoratrice italiana si trova di fronte un apparato di Stato, con il suo Parlamento, le sue leggi, la sua Costituzione, che è essenzialmente uno strumento nelle mani della grande borghesia.
R.Corsini