La causa permanente della crisi

La classe ricca, la classe padronale deve poter affamare sempre la classe operaia e contadina, perché i suoi profitti siano salvi, perché la sua proprietà non subisca mutilazioni, limiti, menomazioni di qualunque sorta? Tutto questo è spietato, ma nessun grido di dolore, di umanità potrà impedirlo. La legge della proprietà è più forte d’ogni stentato sentimento di filantropia. L’affamamento dei poveri, di coloro che producono le ricchezze altrui, non è delitto nella società che riconosce come sacro ed inviolabile il diritto della proprietà privata: che i padroni chiudano le fabbriche, riducano i salari agli operai, questo non è fuori dalla legge che regola la società capitalistica. Ma gli operai, i contadini devono anch’essi ragionare mettendosi da un simile punto di vista? O non hanno essi il dovere di fare un ragionamento opposto; di dire cioè che la crisi deve essere superata sacrificando chi l’ha prodotta, chi ne è la causa permanente A. Gramsci, 24 agosto 1921