La bandiera rossa è la bandiera dei lavoratori del mondo

Questo è una parte del discorso fatto da Nathalie Arthaud alla festa di Lutte ouvrière, vicino a Parigi, il 20 maggio

I gruppi che fanno parte della nostra tendenza internazionale, l'Unione Comunista Internazionalista, innalzano tutti la stessa bandiera, la bandiera rossa, la bandiera dei lavoratori. È molto più di un pezzo di stoffa che ricorda il sangue versato dagli sfruttati nelle loro lotte. Rappresenta le idee marxiste, la prospettiva comunista rivoluzionaria, le idee di Rosa Luxemburg, Lenin, Trotsky e molti altri che hanno ancora molto da insegnarci.

Questa bandiera rappresenta la lotta contro il capitalismo, contro la proprietà privata degli strumenti di produzione. È una dichiarazione di guerra all'imperialismo, cioè al dominio del mondo da parte dei trust commerciali, industriali e finanziari, e alle loro rivalità, sostenute se necessario da interventi armati che mettono a ferro e fuoco il mondo.

Guerra all'imperialismo

L'imperialismo ha giocato un ruolo fondamentale nella frammentazione dell'Africa, nella creazione di Stati improbabili, con confini arbitrari, che stanno lacerando i popoli e sono oggi all'origine di tante guerre locali. Soprattutto, il saccheggio imperialista è la causa principale del sottosviluppo, del regno di dittatori servili verso le grandi potenze e feroci nei confronti dei propri popoli. Perché l'imperialismo ha questa capacità di estrarre profitto anche dai più poveri, aggravando la loro povertà.

Guardate il caso di Haiti, un paese che ha avuto il triste privilegio di essere il primo territorio americano ad essere scoperto dai conquistadores di Cristoforo Colombo nel 1492. L’isola è stata la prima a vedere massacrati i suoi abitanti, la prima a essere trasformata in vaste piantagioni di zucchero su cui sono stati deportati decine di migliaia di schiavi dalla costa occidentale dell'Africa. Ma Haiti fu anche la prima a ribellarsi, a partire dal 1794. Fu la prima a sperimentare una formidabile rivolta di schiavi, circa 400.000, che lottarono per la loro libertà, sapendo organizzarsi e costruire un esercito capace di sconfiggere quello di Bonaparte, temuto da tutte le corti d'Europa! Furono loro che, nel 1804, a proclamarono la loro indipendenza e dettero vita alla prima repubblica nera.

La grande borghesia non ha mai perdonato questa audacia. Haiti ha subito blocchi, pressioni militari ed economiche, invasioni imperialiste, dittature feroci e corrotte e, soprattutto, un continuo salasso a causa del debito. Fino agli anni '50, Haiti pagava centinaia di milioni di franchi oro, l'equivalente di miliardi di euro, per i cosiddetti interessi su un debito contratto con i suoi ex padroni! Per continuare a strozzare Haiti, le grandi potenze poterono contare sul nuovo strato privilegiato haitiano, che aveva preso la guida della rivolta ed era ben felice di essere riconosciuto dai leader delle nazioni.

L'imperialismo è questo: un sistema di oppressione che non si preoccupa se un popolo ha il suo Stato, il suo inno, la sua bandiera, perché comunque trasforma tutti questi Stati in vassalli, docili strumenti dei suoi interessi. I popoli indipendenti hanno certamente poliziotti del loro stesso colore della pelle, guardie carcerarie e soldati che parlano la loro stessa lingua, un intero apparato di repressione che deve essere mantenuto e che costa caro alla popolazione... per poter continuare a sedare le rivolte dei poveri che sono sempre affamati dal sistema economico.

Ad Haiti e in molti paesi dell'Africa e dell'America Latina, questi Stati vengono distrutti dall'interno, dalla corruzione e dalle cricche rivali e sono sempre più ridotti a una banda di uomini armati. L'imperialismo è un mondo senza scampo. Per liberarsene, non basta conquistare un’esistenza indipendente, bisogna distruggerlo. Lavorare per la rivoluzione mondiale

I popoli dei Paesi poveri stanno pagando a caro prezzo l'assenza di sbocco delle prospettive nazionaliste. Nel caso dei palestinesi, una tale prospettiva li condanna a passare da un'impasse sanguinosa all'altra. Nella situazione attuale, le grandi potenze non osano più brandire la soluzione dei due Stati, ma forse torneranno a farlo per tenere i palestinesi in sospeso. Ma oggi cosa potrebbe essere uno Stato palestinese? Sarebbero piccoli pezzi di territorio, separati ma sottomessi alla stessa autorità, non riuscendo nemmeno a procurarsi l'acqua sufficiente e quindi costretti a vivere dipendenti da Israele e dagli aiuti “umanitari” che i paesi imperialisti dovrebbero fornire.

Certamente una borghesia e una piccola borghesia palestinese potrebbero prosperare in circostanze del genere, perché i più ricchi sanno sempre come costruire il loro piccolo paradiso, anche in mezzo all'inferno. Ma una situazione di questo tipo non risponderà mai alle esigenze e agli interessi delle masse palestinesi più povere della Cisgiordania e di Gaza, o di quelle dei campi in Libano e in Giordania che chiedono il diritto al ritorno, e in ogni caso il diritto di vivere in un luogo diverso dai campi profughi.

L'unica prospettiva per il futuro è, ovviamente, quella di un unico Stato democratico e laico per entrambi i popoli. Ma questo non può essere immaginato senza un'ondata rivoluzionaria che veda i popoli palestinese e israeliano convergere in un unico rifiuto dei rispettivi dirigenti e dei loro sponsor imperialisti.

Che sia in Medio Oriente, in Africa o in Asia, ovunque il sentimento di oppressione nazionale susciti una rivolta, ci vogliono militanti che prendano le distanze da queste organizzazioni nazionaliste e religiose borghesi che cercano solo di ritagliarsi un piccolo spazio nel sistema imperialista. In Palestina è il caso di Hamas e Fatah, che si basano sulle aspirazioni antimperialiste del loro popolo, ma non hanno assolutamente l'obiettivo di rovesciare questo ordine sociale, tanto meno il dominio dei ricchi sui poveri, il dominio della borghesia sul mondo del lavoro.

Solo un mondo libero dall'imperialismo e da tutte le frontiere che ha lasciato in eredità può dare vita a una società che rispetti tutte le nazionalità, in rapporti di cooperazione e fratellanza. Perché questo sia possibile, ci vogliono militanti la cui politica sia quella di collegare la rivolta del proprio popolo con quella dei poveri e degli oppressi di altri Paesi, a partire dai vicini. Ci vogliono militanti che lavorino per la rivoluzione internazionale sotto l’unica bandiera della classe operaia, la bandiera rossa.