Circa un centinaio di capi di stato hanno assistito ai funerali di Shimon Peres a Gerusalemme venerdì 30 settembre ed hanno celebrato un presunto uomo di pace. Ma prima di pronunciarsi a favore di un dialogo con i palestinesi, Peres fu uno di quelli che organizzarono la confisca delle loro terre. Rifiutò a lungo di riconoscere loro il diritto ad uno Stato ed ebbe una parte importante nelle guerre che insanguinarono la regione.
Nato nel 1923 a Vishneva, una borgata allora situata in Polonia, Shimon Peres, il suo vero nome era Shimon Perski, emigrò ad 11 anni con la sua famiglia in Palestina che, in questo periodo del primo dopoguerra, era un mandato sotto occupazione britannica. Raggiunse un'organizzazione giovanile di quella frazione del movimento sionista che si definiva socialista. Ma questa corrente era prima di tutto nazionalista. La sua unica prospettiva era creare uno stato ebraico, eliminando le popolazioni palestinesi.
La realizzazione di questo programma, con la creazione dello Stato d'Israele nel 1948, fu seguita da una prima guerra arabo-israeliana e si accompagnò con l'espulsione di molte centinaia di migliaia di palestinesi che furono cacciati delle loro terre e condannati a vivere in campi profughi installati in tutta la regione. Peres fu della generazione dei dirigenti israeliani che attuarono questa politica ed ebbero come prima preoccupazione il rafforzamento della potenza militare del loro stato. In questi anni, Peres faceva parte del campo dei duri, dei “falchi”, come venivano chiamati coloro che erano più guerrafondai e rifiutavano ogni concessione ai palestinesi.
Come Direttore generale del ministero della difesa a partire dal 1953, svolse un ruolo importante nei negoziati che condussero all'intervento militare di Suez nell'ottobre 1956, al fianco della Francia e del Regno Unito, contro il leader egiziano Nasser che aveva appena nazionalizzato il canale di Suez. Peres fu allora al centro delle trattative con la Francia, che permisero ad Israele di dotarsi dell'arma atomica.
Nel 1974, diventato ministro della difesa, si oppose allo sgombero dei coloni, appartenenti all'estrema destra religiosa, che contro il parere del governo dell'epoca cominciavano a sviluppare insediamenti selvaggi nella Cisgiordania occupata a seguito della guerra del giugno 1967. Peres era uno dei principali dirigenti del partito laburista che dominava la vita politica israeliana. Ma tutta la politica di questo partito contribuiva a rafforzare nella società israeliana le correnti più nazionalistiche e religiose. Alla fine anche lui ne fu la vittima, poiché fu eliminato del potere nel 1977 dalla destra nazionalista. Ciò non impedì a Peres di proseguire la sua carriera governativa, in coalizioni con la destra, come Primo Ministro dal 1984 al 1985, e poi come ministro degli esteri dal 1987 al 1990.
Ci volle lo scoppio della prima Intifada, nel dicembre 1987, e la palese incapacità di porvi fine con la repressione perché Peres decidesse di avviare negoziati con l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Arafat. Ma gli accordi di Oslo, firmati nel 1993, non per questo aprirono un vero processo di pace. Col riconoscimento di un potere autonomo palestinese su una parte molto limitata della Cisgiordania ed a Gaza, i dirigenti israeliani intendevano innanzitutto delegare all'OLP il compito del mantenimento dell'ordine contro la popolazione palestinese, e non un vero Stato.
Nell'aprile 1996, diventato di nuovo Primo Ministro dopo l'assassinio di Rabin da parte di un attivista dell'estrema destra religiosa israeliana, “l'uomo di pace” Peres ordinò un intervento militare nel Sud del Libano, durante il quale il bombardamento di un campo dell'ONU a Cana fece 200 vittime civili. Nel 2001, entrò al governo d'unità nazionale diretto da Ariel Sharon, che dichiarò che gli accordi di Oslo erano morti, e sostenne la sua politica aggressiva. Peres terminò la sua carriera politica lasciando il partito laburista per aderire a Kadima, il movimento creato da Sharon nel 2005, un'adesione che gli permise di accedere alla presidenza d'Israele nel 2007.
Alla fine della sua vita, Peres parlava molto di pace e del dialogo necessario con i palestinesi, cosa che non lo impegnava più a nulla. Infatti, ogni volta che ha esercitato qualche responsabilità, ha sostenuto una politica che portava nel sanguinoso vicolo cieco in cui oggi si trovano israeliani e palestinesi.
M.R.