Nel referendum svoltosi il 25 maggio in Irlanda, più dei due terzi degli elettori (66,4%) si sono dichiarati favorevoli all'abrogazione dell'ottavo emendamento della costituzione che proibisce l'aborto, con un tasso di partecipazione del 64,1%, un record per questo genere di scrutinio.
Molti sostenitori del “Sì” erano giovani, per lo più donne. Fra le generazioni precedenti, molte hanno lottato per l'abrogazione di questo emendamento, esprimendo pubblicamente le difficoltà e le umiliazioni che avevano subite quando avevano dovuto abortire. E se il “Sì” ha fortemente prevalso a Dublino, con il 75% dei voti in alcune zone, è anche maggioritario nel resto del paese, intorno al 60% anche nelle regioni rurali. Solo il Donegal, una contea del nord-ovest, ha dato al “No” una maggioranza risicata del 51,9%.
Una legislazione repressiva
Con l'Irlanda del Nord e Malta, l'Irlanda ha la legislazione più repressiva in materia d'aborto in Europa. L'ottavo emendamento, adottato con un referendum nel 1983 sotto pressione della Chiesa cattolica, iscriveva nella costituzione l'uguaglianza del diritto alla vita tra il feto e la madre, proibendo così ogni modifica per via parlamentare della vecchia legge del 1861. Di colpo, eccetto sentenza contraria della Corte suprema che poteva essere pronunciata soltanto in casi individuali, l'aborto restava non soltanto vietato ma punibile con l’ergastolo.
Una prima modifica si ebbe nel 1992, con l'adozione per referendum del 13° emendamento costituzionale che riconosceva alle donne il diritto di ricorrere all'aborto senza essere punibili, ma soltanto… se andavano all'estero. Un 14° adottato lo stesso giorno legalizzò tutte le forme d'informazione sull'argomento. Nel contesto molto segnato dall'influenza della Chiesa cattolica, era un progresso, ma un progresso pieno d'ipocrisia e d'ingiustizia sociale poiché ne potevano usufruire solo le donne che ne avevano la possibilità materiale. Infatti, il costo del viaggio all'estero poteva arrivare a 2000 euro, o al doppio in caso d'intervento tardivo.
Secondo alcune stime, 17.000 donne si sarebbero recate in Olanda e soprattutto in Inghilterra dal 1992. Ma per molte donne di ambienti popolari, questa “liberalizzazione” rimaneva inaccessibile, sia per mancanza di mezzi finanziari, sia perché fuori dalle grandi città, con la pressione del conformismo sociale e l'assenza d'organismo di pianificazione familiare, non potevano rivolgersi a nessuno.
Una mobilitazione militante che ha pesato sulle scelte
La vera svolta arrivò nel 2012, dopo lo shock causato dalla morte da setticemia di una giovane dentista d'origine indiana che i medici avevano rifiutato di operare mentre faceva un aborto spontaneo. Nel 2013, la legge fu allora un po' ammorbidita autorizzando l'aborto in alcuni casi limitatissimi, tra cui quello del pericolo di morte per la madre, e riportando la pena massima incorsa negli altri casi a quattordici anni di prigione.
A partire da questa epoca, diversi gruppi hanno militato per il diritto delle donne di disporre del loro corpo, a cominciare dal diritto all'aborto. Poco a poco, la campagna a favore della liberalizzazione dell'aborto guadagnò terreno, al punto che, fin dal suo arrivo al potere, il Primo Ministro Leo Varadkar, capo del partito della destra liberale Fine Gael e portavoce della sua ala modernista, fece della promessa di un referendum sull'ottavo emendamento il suo cavallo di battaglia. Ciò gli permetteva allo stesso tempo di promuovere la sua immagine di “rinnovatore” e quella del suo partito passabilmente appannata da sette anni di gestione catastrofica della crisi finanziaria, guadagnando elettori sulla sua sinistra, in particolare nella gioventù.
Quanto alla Chiesa cattolica, che dall'indipendenza del paese nel 1921 ha sempre fatto pesare la sua cappa di piombo sulle coscienze, è rimasta stranamente silenziosa durante la campagna del referendum. Gli scandali che si sono succeduti in questi anni hanno messo in cattiva luce la sua pretesa volontà di proteggere i bambini. Dopo quello delle lavanderie per ragazze-madri, le “Magdalene laundries„ dove erano trattate come schiave mentre i loro figli le erano tolti e venduti a ricchi americani, c'erano stati i numerosi casi di pedofilia nell'ambito delle sue istituzioni, e poi la scoperta nel 2014 di una fossa di circa 800 feti e di bambini di meno di 3 anni morti di malnutrizione o di cattivi trattamenti in uno dei suoi orfanotrofi. Era meglio per la Chiesa cattolica farsi dimenticare...
Entro qualche mese, il tempo di legiferare, si può sperare che si finirà con questi decenni d'oscurantismo religioso che opprimevano in particolare le donne. È per questa speranza che delle folle piene d'entusiasmo hanno manifestato in piazza fin dai primi risultati del voto.
C'è infatti di che rallegrarsi anche se certamente non sarà la fine della lotta per le donne, che dovranno come in Italia continuare a battersi perché ci siano abbastanza medici che non sbattano loro la porta in faccia con pretesti di “coscienza”, e soprattutto perché ci siano abbastanza centri di cure per accoglierle, con i finanziamenti necessari perché queste cure siano gratuite; una cosa di cui per ora non si è affatto parlato.
M. L.