Antifascismo proletario nella Livorno degli anni ‘20
Il libro di Marco Rossi, “Livorno ribelle e sovversiva” si occupa di un argomento e di un periodo storico strettamente delimitati. Il sottotitolo lo chiarisce: “Arditi del popolo contro il fascismo 1921-1922”.
È un piccolo saggio di poco più di cento pagine quest’ultima ricerca del Rossi. Piccolo ma densissimo di riferimenti storici sostenuti da una robusta documentazione. L’Autore si era già occupato di Arditi del popolo con “Arditi e non gendarmi!”, sempre per la casa editrice BFS (Biblioteca Franco Serantini) di Pisa, ma in un’ottica più generale, descrivendo e spiegando questo movimento antifascista, più o meno organizzato, nelle sue origini e nelle sue matrici, sia genuinamente proletarie, sia combattentistiche.
L’“arditismo rosso”, sbocciò in un momento in cui il fascismo si presentava, tra l’altro, come unico legittimo erede politico degli Arditi, corpo scelto dell’esercito con il quale lo Stato Maggiore aveva tentato di surrogare la catastrofica inefficienza dell’esercito italiano.
Degli Arditi riprendeva i gagliardetti neri e la mitologia degli uomini senza paura, col pugnale fra i denti, che uscivano dalle trincee della prima guerra mondiale per terrorizzare il nemico con azioni a sorpresa. Mussolini pensò di servirsi di questo simbolo di coraggio e di spietatezza per generare negli operai rivoluzionari lo stesso terrore che si presumeva avesse generato nelle file austriache.
Quello che Mussolini e i suoi non calcolarono è che una parte degli ex-combattenti e degli stessi arditi divenissero un centro di resistenza antifascista, mettendo a servizio del movimento operaio la propria esperienza militare.
Di questa breve storia, per altro ricchissima di insegnamenti, l’ultimo saggio del Rossi ci mostra ora un piccolo frammento. E così prende vita, in queste poche pagine, l’antifascismo militante e popolare di una città già nota per il suo sovversivismo. Rivivono i quartieri della Livorno di quegli anni, quella del congresso di fondazione del Partito comunista d’Italia ma anche quella dello straordinario sciopero generale per la liberazione dell’anarchico Errico Malatesta.
Un episodio del 1922, ricostruito dall’Autore fa capire di che cosa parliamo: “Attorno al quartiere San Marco, il 14 aprile, si svolse una vera e propria battaglia, iniziata dal tentativo fascista di compiervi una spedizione punitiva ai danni del Circolo repubblicano di via Pellegrini, durante lo sciopero proclamato in risposta all’avvenuta devastazione della Camera del lavoro confederale. Dopo aver respinto e accerchiato gli squadristi, gli antifascisti alzarono barricate per chiudere le vie d’accesso al quartiere sostenendo per ore scontri a fuoco con i rinforzi fascisti, le guardie regie e i carabinieri. Secondo quanto riportato su “La Gazzetta livornese”, la cui redazione si trovava a breve distanza, il punto cardine della difesa era in via della Pina d’Oro “da dove uomini e donne si accanivano sparando persino dai tetti e le donne gettavano a basso quanto capitava loro fra le mani, pur di colpire i fascisti”. Fu poi necessario l’intervento dell’esercito e dei bersaglieri della locale caserma per sedare la rivolta. Furono arrestati 300 antifascisti.
L’ambiente sovversivo, nelle sue diverse articolazioni, comuniste, socialiste, anarchiche e repubblicane, ha radici profonde nel proletariato e nei ceti popolari livornesi. Il libro contiene in appendice un elenco di cinquanta nomi di sicura appartenenza agli Arditi del popolo e tutti o quasi sono operai o piccoli artigiani.
Una storia di novanta anni fa che presenta un interesse non solo storiografico. Per chi oggi come allora combatte per un mondo senza sfruttamento, senza oppressione e senza guerre, è una conferma degli enormi tesori di coraggio e di spirito combattivo che le classi lavoratrici e i ceti più poveri posseggono. Presto o tardi, ne siamo certi, torneranno a manifestarsi.
R.Corsini