Sono state rese note, in data 4 aprile, le motivazioni della sentenza con la quale la Corte di Cassazione ha giudicato irricevibile il ricorso contro il licenziamento del ferroviere Riccardo Antonini. Come si ricorderà, l’Antonini si rese disponibile, come consulente tecnico, alle famiglie che avevano perso i propri cari nella “strage di Viareggio”. La notte del 29 giugno 2009 un carro cisterna in composizione a un trano merci deragliò in corrispondenza della stazione di Viareggio, ne seguì una fuoruscita di gas compresso che sviluppò un incendio di enormi dimensioni, “sparando” lingue di fuoco tutto intorno. Ci furono 32 vittime.
Il processo è durato 8 anni e, finalmente, si è concluso all’inizio di quest’anno. L’ex amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, è stato condannato, come altri dirigenti, a 7 anni. Una pena che, naturalmente, non sconterà mai.
Invece, il nostro Antonini la sua punizione se la prende tutta. Rimane, come è da cinque anni, senza uno stipendio, e questo per aver detto una verità che, in un altro processo, è stato riconosciuto come tale. Non importa, questa è la lezione. La Giustizia ha messo su un piatto della bilancia il lavoro di consulente che, con competenza, l’Antonini ha svolto a favore dei familiari dei morti di Viareggio, e che lo ha portato a individuare determinate responsabilità in Moretti e nella dirigenza delle ferrovie. Sull’altro piatto ha messo la scarsa fedeltà all’Azienda, a Moretti, a tutti gli altri manager che l’Antonini avrebbe dimostrato per il fatto stesso di non aver assecondato le verità addomesticate servite dai vertici FS.
Tra la verità e la fedeltà la Giustizia non ha avuto dubbi: il lavoratore deve essere fedele al proprio datore di lavoro, anche se questo significa fingere di non vedere. Chi sa quanti imprenditori, piccoli e grandi, si saranno sentiti sollevati da questa sentenza contro un ferroviere che, ne siamo certi, farà giurisprudenza.
Corrispondenza ferrovieri