Dalla povertà assoluta, allo sfruttamento minorile. Secondo l’Unicef, nella classifica del benessere di bambini e adolescenti l’Italia occupa il 22° posto sui 27 Paesi “ricchi”
Se i bambini sono il futuro della società, non è un’assicurazione per il futuro la condizione in cui sono costretti i minori nel nostro Paese. Nella sua relazione annuale presentata in Parlamento, il Garante per l’infanzia e l’adolescenza Vincenzo Spadafora ha fornito dati allarmanti, e ha descritto con accenti molto duri il metodo con cui viene affrontata la situazione dell’infanzia e dell’adolescenza. A fronte di quasi due milioni di minorenni in uno stato di povertà relativa (dati ISTAT), ce ne sono più o meno altrettanti in uno stato di povertà assoluta. Tra gli uni e gli altri, la povertà riguarda il 34% della popolazione di minore età in Italia, con una prevalenza al Sud e nelle famiglie numerose. Molti non hanno accesso al servizio sanitario di base, molti fanno parte di famiglie immigrate, non integrate e con un lavoro irregolare. E’ un Paese “socialmente disintegrato” dice Spadafora, dove il rischio di esclusione sociale è sempre più reale e dove l’atteggiamento delle istituzioni di fronte ai problemi dell’infanzia e dell’adolescenza è “quasi caritatevole”, senza alcun progetto organico di lungo periodo. Un Paese dove il taglio della spesa sociale voluto dalla cosiddetta “spending review” ha tolto risorse anche dove non erano mai state sufficienti, e dove evidentemente appare superfluo occuparsi del proprio futuro, degli uomini e delle donne di domani.
Ne deriva che non è necessario andare a cercare le forme più brutali di sfruttamento del lavoro minorile nelle metropoli dei Paesi in via di sviluppo, basta guardare agli angoli delle nostre strade. Secondo lo studio di un istituto di ricerca Cgil, condotto in collaborazione con l’organizzazione non governativa Save The Children, sarebbero 260.000 i minori che lavorano invece di andare a scuola, e lo fanno in condizioni degne dei romanzi di Dickens. Nella ricerca si possono leggere testimonianze di questo tipo: “Facevo il pescivendolo, dalle 4 e mezza di mattina alle 3 del pomeriggio, tutto il tempo a portare il ghiaccio senza guanti, gli chiedevo se aveva i guanti e mi diceva: ti devi abituare, sei giovane. Avevo sempre il raffreddore. Alla fine mi ha dato 60 euro”.
Bambini che lavorano 11, 12 ore al giorno per paghe irrisorie e con mansioni pesanti anche per un individuo adulto, bambini che lavorano sette giorni su sette, fuori da qualsiasi regola, sfruttati da padroni privi di scrupoli. La crisi acuisce anche i bisogni delle famiglie, che spesso non possono fare a meno neppure di quei 200, 300 euro, paga miserabile che i bambini portano a casa. Non dobbiamo permettere una società che non ha rispetto per il suo futuro.